sabato 23 dicembre 2017

Ad Ebenezer Scrooge

Uno dei passaggi chiave del mondo in cui viviamo è stato il prevalere del nostro essere consumatori sull’essere produttori. Ogni volta che consumiamo partecipiamo, consapevolmente o meno, al processo di sfruttamento di qualcuno da qualche parte della catena produttiva distributiva. Certo, consumando alimentiamo anche quella catena lungo la quale ci sono lavori, impieghi, redditi che costituiscono la fonte di sostentamento della gente. Ma la prevalenza del consumatore sul produttore ci spinge inesorabilmente a sperare, a volere, a contribuire allo schiacciamento del costo di ciò che compriamo, ignari o indifferenti al fatto che questo accadrà prima o poi inevitabilmente anche alla catena di cui noi facciamo parte. Ci sono però dei momenti che improvvisamente ci rendono consapevoli. Lo sciopero degli addetti al magazzino di Amazon nel giorno del black friday, la battaglia dei dipendenti di Ryan air il licenziamento della impiegata dell’Ikea, la consegna da me di una spesa fatta online ad Eataly, sotto una pioggia scrosciante, da un povero ragazzo in bicicletta. Cui, magari, piace tantissimo pedalare anche nei giorni liberi se ne ha, ma che sicuramente non lo stava facendo come millanta il sito che lo ingaggia per una rinnovata coscienza ecologica nel campo del delivery. Per lui era solo decrescita felice mentre, massimamente infelice, qualche azionista o amministratore delegato, dal sedile di una Mercedes o dalla plancia dello yacht stilla lacrime sulle foreste amazzoniche. Ma forse qualche segnale positivo c’è. In Spagna hanno appena stabilito che i pedalatori di uno di questi gruppi non sono lavoratori autonomi, con tanto di bici propria, mancata assicurazione e contributi latitanti. Sono dipendenti. Così come i dipendenti di Amazon italia dovrebbero avere il contratto dei postelegrafonici, secondo l’Authority. Così come Uber non è un servizio di appuntamenti automobilistici ma una compagnia di Taxi sia pure 2.0. Insomma basta , basterebbe, avere la volontà politica di imporre leggi ed il loro rispetto. E poi star lì a vedere i capitalisti che rinunciano a mercati pregiati come quello italiano. E siccome da qui a poco toccherà votare, forse è meglio non irridere alle proposte di Gigino Di Maio sulle festività da far rispettare anche nella distribuzione, a meno di non renderle facoltative e strapagate. Perchè la battaglia vincente della sinistra del futuro è la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario verso il limite delle 30 ore che già ha adottato l’Olanda. Perchè mai come oggi suonano profetiche e di “sinistra” queste parole “onorevole collega, partiamo dalla premessa che in un dato Paese vi siano cento milioni di operai occupati, con un salario medio di un dollaro al giorno per 800 milioni di ore di lavoro al giorno - non esistono disoccupati, non si parla di crisi, gli affari vanno - ad un tratto uomini di genio inventano un qualcosa che permette, con 75 milioni di uomini, di compiere il lavoro che prima ne richiedeva cento. Ci saranno 25 milioni di disoccupati, la domanda e i consumi si ridurranno e dopo un po' grazie ad una "catena paurosa" basteranno 60 milioni di operai a produrre quanto chiesto dal mercato. Che fare per uscire dal collasso spaventevole? Ridurre le ore lavorate da 800 a 600 mantenendo invariate le paghe" Sono di Giovanni Agnelli, il fondatore, e sono del 1933 contro il liberal liberista Luigi Einaudi

mercoledì 22 novembre 2017

Annuncio funebre.

Ed infatti, eccoci qui. Al momento della scelta, la scelta è fatta. Tra Di Maio e Berlusconi scelgo Berlusconi. E’ l’undicesima risposta, quella che rinnega trent’anni di lavoro e si autoconsegna alla inutilità di un’esistenza. Perchè ovviamente Scalfari sa chi è Berlusconi e con chi si accompagna. Sa che, per quanto di destra, ignorante, pressappochista, dilettantesco ( in pieno accordo con la definizione deluchiana di “sfaccendato”) possa essere Gigino Di Maio, non è un pregiudicato interdetto dai pubblici uffici, non ha il principale ideologo del suo movimento in galera per associazione mafiosa, non ha il suo migliore avvocato radiato e in galera per aver corrotto i giudici che cercarono di sfilargli da sotto il culo il suo gruppo editoriale. Sa che per quanto economicamente ignorante e dilettantesco il movimento 5stelle non porta la responsabilità della grande crisi del 2011 ( almeno secondo la vulgata di Repubblica essa sarebbe di Berlusconi). Sa che con Di Maio non corrono e quindi non non salirebbero al governo Salvini e Meloni. Però al momento della scelta, che ad esempio si è dovuta fare in Sicilia o ad Ostia, il Fondatore sceglie Berlusconi. Certo lui non lo voterà. Inseguirà ancora la chimera del PD, così come io inseguirò ancora la chimera di chi chiede il ritorno della revoca di un licenziamento illegale e non della sua monetizzazione. Poi, però, in un giorno qualunque della prossima primavera, fatto lo spoglio e verificato il presumibile stallo, toccherà dire chi dovrà formare il governo. E ancora una volta, come con il tanto rimpianto duo Letta Napolitano, la canzone sarà quella delle larghe intese da Arcore al Nazareno. Mi tocca riproporre la frase usata, per ricordarlo, nel secondo anniversario della morte di mio padre. Vivo, moriresti di rabbia.

martedì 7 novembre 2017

L'argine

"No poverello, soffrì nun soffre". Le due donne camminano in riva al mare subito dopo la dissolvenza che ha lasciato Vittorio Gassman al tappeto bofonchiare "so’ contento". "Io me lo magno" le ultime parole pronunciate prima di alzarsi dall’angolo da cui Tognazzi gli dice buttati che siamo alla seconda ripresa. Paragone irresistibile con il fu Matteo Renzi, che dalla metaforica carrozzella continua a bofonchiare me lo magno, mettendo insieme, come il suonato che è, il 40% della vittoria alle Europee e il 40% della trombata al referendum. Non soffre. Ai cazzotti che fanno male ha fatto l’abitudine dopo quell’euforia ingannatrice della notte europea. Torino, Genova, Roma, la Liguria la Sicilia, Livorno, L'Aquila, Piacenza, Asti, in un compatto moto di ripulsa che, a differenza di quanto accadeva con Berlusconi, odiatissimo da noi ma amatissimo dai suoi elettori, non si realizza con l’aumento dei nemici ma con la fuga disgustata degli amici che corrono a bruciare le tessere elettorali, manco fossero le cartoline precetto per il Vietnam. A parte la pietà umana, che Renzi vada al tappeto e con lui il partito democratico, questo ippogrifo irreale e mal disegnato, a me va benissimo. Cioè mi andrebbe benissimo se ci fosse qualcuno che, sia pure per il cinico calcolo di vincere la borsa dell’incontro, dicesse buttati giù, è un incontro farsa, una truffa per gli spettatori. E invece niente, mentre il sangue riga la faccia pesta sono tutti lì a ragionare sul jab, sulla guardia, il gioco di gambe. Che sarebbe il mettiamoci Minniti o Gentiloni o Franceschini o Pisapia o Grasso alla guida del tritacarne che ha inghiottito la sinistra italiana. Ancora con la stessa idea che il compito principale della sinistra sia quello di opporsi al populismo dei 5 stelle, il famoso argine. Solo che, a furia di fare la guardia all’argine di sinistra, nessuno si è accorto che l’acqua stava salendo pure su quello di destra. E che il corso del fiume a valle diventava sotterraneo e non c’era più nessun argine, solo il mesto arrancare delle acque nel sottosuolo come il Seveso o i torrenti interrati di Genova. Solo così si spiega il delirio di una legge elettorale che è stata fatta contro Di Maio e per obbligare Berlusconi ad un appoggio da vassallo e che ormai è quasi certo darà la vittoria parziale al centrodestra pure nel resto d’Italia, non solo tra gli impresentabili della Sicilia, e ridurrebbe il Pd all’ Alfano della prossima legislatura. Solo così si possono ancora sommare i pochi voti di Fava e di Micari sognando il 40, mentre il risultato da 25. Solo così si può ignorare che i voti di Fava insieme e a quelli di Cancelleri avrebbero evitato il ritorno della Sicilia tra le fauci del Caimano. E se a Ostia Casa Pound e il clan degli Spada aggiungeranno il loro peso ai fascisti in doppio petto, solo i voti del Pd potrebbero fermare la Suburra scegliendo i 5 stelle, ma ovviamente no, la piccola vedetta sull’argine ha già detto che non ci si schiera. Discorso logico, legittimo perfino quando all’angolo tra paradenti insalivato e qualche passata di spugna si pensava di essere primi o al massimo secondi lì lì. Ma se si finisce terzi? E la retorica del voto utile? E le pippe sul second best? E la scomunica a Melenchon perchè non si schierava tra Le Pen e Macron? Sempre lì a raccontarsi che “ In tutto l'Occidente, la divisione classica è tra la sinistra di governo, riformista, e quella di opposizione, radicale” Ancora? Dopo Corbyn? E ancora con la sinistra riformista italiana? Quale ? Quella dell’articolo 18, della Fornero? Dell’alternanza scuola lavoro? Di Poletti. IO soffro, eccome se soffro!

venerdì 27 ottobre 2017

Dal bar in piazza

Ma se quello che, dopo essere stato cacciato dal governo da un plebiscito di voti popolari, ha trascinato in piazza gli stracci sporchi di Bankitalia, costretto il governo a mettere le fiducie sulla legge elettorale in entrambe le camere facendo trasalire le vecchie e sperimentate giunture perfino dell’emerito Napolitano, indotto il presidente del Senato ad andarsene disgustato dal partito, fatto mancare i “suoi” ministri dal consiglio sulla proposta di nuovo governatore da presentare al capo dello Stato, fosse stato Silvio Berlusconi e se il suo partito si fosse chiamato Forza Libertà o Popolo d’Italia, scusate sono un pensionato e non mi ricordo, oggi non ci sarebbero tutti i giornali per bene a chiamarci alle piazze e soprattutto alle urne per erigere un baluardo contro l’avventurismo e il populismo? Se fosse un oscuro ex steward del San Paolo assunto , nell’immortale definizione di De Luca , alla condizione di sfaccendato non saremmo qui a dire che la sfida è tra chi ha il senso delle istituzioni repubblicane e chi ha una concezione del partito ispirata a quel filosofo di Pietro Savastano? Non si tuonerebbe all’anomalia mai sopita, citando il ribellismo delle classi dirigenti, ed elencando i cadaveri eccellenti che il pistolero toscano si lascia dietro nella sua versione di Scarface? No? Così solo per sapere, tanto per regolarsi tra un mano e l’altra di tressette.

mercoledì 25 ottobre 2017

Il silenzio per gli indecenti

Uno dei grandi vantaggi della mia recente condizione è quello di potermi risparmiare il giorno per giorno. Quante cazzate e pensieri pseudo profondi che uno si trova ad applicare agli spostamenti minimi della politica.Pensate che, lavorando, avrei dovuto commentare l’apertura di Speranza a Renzi , appena tre giorni prima di veder salire il suo non ancora partito al Colle per annunciare l’uscita dalla maggioranza. Mi sarei dovuto appassionare alla ribollente attività che circonda il miserabile meccanismo della legge elettorale, unica vera mission di chi ha da depositare il culo anche per i prossimi 5 anni. Oppure ai referendum padani, manco Gentiloni fosse Rajoy. Politica politicante. Cui, davvero, non so perchè andiate ancora dietro. Mentre le cose serie che dovrebbero riempire le piazze come fossimo a Barcellona sono gli esiti, i residui della gestione della crisi. La pensione a 67 anni per tutti (scusatemi), record europeo che supera ogni logicità in uno dei paesi con la più alta disoccupazione o sotto occupazione dei giovani. L’aberrante sentenza della Consulta di oggi che in un paese che certifica oltre cento miliardi l’anno di evasione sostiene che il decreto Poletti rubando ai pensionati solo 30 miliardi invece di 32 realizza un “un bilanciamento non irragionevole tra i diritti dei pensionati e le esigenze della finanza pubblica". E io dovrei appassionarmi per questi nani, che votarono compatti il pareggio di bilancio. Ricordatevelo. Alla camera il 30 novembre 2011 464 e 0 no, con 11 eroici astenuti e 153 ignavi assenti o in missione per poter dire io non c’ero. Ricordatevelo. Al Senato il 15 dicembre del 2011 255 favorevoli, 0 contrari, 14 gloriosi astenuti e 52 mangiapane a tradimento che si diedero alla fuga. Avete capito? 0 voti contrari su 945 parlamentari e uno spicciolo di senatori a vita

lunedì 9 ottobre 2017

Ampio e inclusivo

Adesso uno può dire che si tratta del vizio eterno della sinistra divisiva. Lo diranno tutti quelli che negli ultimi giorni avevano avuto un rigurgito priapico all’idea del Nuovo Ulivo, insomma gente, e colleghi, risolutamente abituati alla marcia indietro e allo specchietto retrovisore e che vorrebbero affrontare il secondo ventennio del 2000 come l’ultimo decennio del novecento. Io invece vorrei parlare, all’opposto, dell’eterno vizio della sinistra “ampia e inclusiva”. Siccome non abbiamo uno straccio di idea comune, pardon,non abbiamo uno straccio di idea, mettiamo insieme più sigle e più “personalità”, anche se la parola affiancata ai nomi che circolano fa un po’ ridere, cosicchè i famigli e i liberti di questi clan assommati si trasformino in una massa critica e dagli atomi nasca il soggetto. Nei fatti si trattava di mettere insieme chi ha dato il via ai comitati per il no al referendum costituzionale, chi è uscito da un partito perchè si è schierato contro quella riforma, chi l’ha pubblicamente appoggiata per andare ad un accordo di governo con chi l’ha scritta. Ma che senso ha? Come si poteva immaginare che chi non condivide una Costituzione potesse, dovesse condividere una prospettiva politica, un programma, se non immaginando ambedue come un bassissimo cabotaggio nel mondo flou del politicamente corretto? E’ di questo che abbiamo bisogno? Perchè di una forza di sinistra si può tranquillamente fare a meno come, volenti o nolenti, si è fatto in questi anni. A meno di non voler agire un programma di sinistra alla Corbyn. Ed un programma di sinistra, significa in primo luogo schierarsi contro, spazzare via chi ha gestito la desertificazione della sinistra, i Blair i Brown i Milliband locali. Se no, come si dice nella capitale, è un cazzo e tutt’uno. Sento l’obiezione. E allora D’Alema e Bersani? Bravi! Avete capito, anche voi,che ampia e inclusiva la sinistra non può nè deve essere, se non dei problemi e dei dolori dei suoi elettori e delle risposte da proporgli. Se no, l’indistinto ampio e inclusivo c’è già, almeno dal 2013.

giovedì 5 ottobre 2017

Una cagata pazzesca

Il villaggio Potemkin è una cagata pazzesca. Perchè a differenza del capolavoro cui il Villaggio con la maiuscola rendeva omaggio replicandone la ribellione, ti nasconde la realtà della carne marcia. Come forse saprete il villaggio è una fake news al quadrato. La falsa storia di un villaggio falso che veniva costruito in Russia per far vedere alla zarina come le cose andavano bene. Ed è in questo falso su falso che è incappato Ezio Mauro nel suo meritorio sforzo di dare un senso alla sinistra di oggi. All’indomani delle elezioni tedesche Mauro si chiedeva sgomento se qualcuno sapesse delle difficoltà economiche che spiegavano l’affermazione dell’Afd e il tracollo della SPD. Una domanda più che giusta se non fosse venuta dall’uomo che ha avuto per un ventennio nelle mani lo strumento per raccontare a tutti, almeno da noi, come stavano quelle cose invece di additare la Germania a modello. Mauro ha dunque scoperto la falsa facciata del villaggio economico chiamato economia sociale di mercato, il trademark berlinese, ma non ha ancora scoperto di averne fatto parte, aggiungo, conoscendolo, in perfetta buona fede. Perchè nell’altro suo articolo, la sinistra senza compagni e senza storia, Mauro pensa ancora oggi che in quei suoi, e miei, lunghi anni che coincidono con la vittoria dell’Ulivo prodiano la sinistra italiana abbia esercitato il ruolo di spina dorsale di un sistema malato per tutto il lungo periodo della crisi economico-finanziaria dell'Occidente. “Perchè -aggiunge- non c'è coscienza che la responsabilità politica e istituzionale sia la forma moderna di un riformismo governante”. Non c’è dunque un dubbio che l’azione che si snoda dalle leggi Treu a quelle Poletti, passando per Fornero, che l’azione di Ciampi, “la moneta unica sarà un chiodo per arrampicarci o a cui impiccarci”, passando per quella di Padoa Schioppa, “bisogna attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del Ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l'individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere, con i rovesci della fortuna” per approdare alla riforma costituzionale di Renzi e Pisapia, non sia stata una specie di resistenza al dilagare delle forze che hanno ridotto così la Germania, e quindi figuratevi gli altri, bensì una sua componente decisiva. Che quella spina dorsale dell’hombre vertical sia stata andreottianamente incurvata fino a divenire quella di Riccardo terzo. A Mauro, come a voi, debbo l’ammissione esplicita di aver condiviso con lui l’apprezzamento per il villaggio in cui mi sono aggirato dal 96 al 2011, accecato dall’orrore che il berlusconismo aveva sparso al di fuori di quelle vie di cartapesta. Ma la lettera dei governatori Trichet e Draghi quel fondale lo ha lacerato con tanta evidenza che perfino io l’ho capito. Continuare a percorrere quelle vie invece di Villaggio e Salce finisce per far pensare a Fellini e al tragico patetico Sordi, nel dopo carnevale dei Vitelloni. Sordi, si quello della pernacchia ai lavoratori

domenica 1 ottobre 2017

Omaggio alla Catalogna

Ragionare per analogie può essere un problema. Però talvolta serve. Perchè il Sud Sudan si e la Catalogna no? Prescindiamo per un momento dal merito della vicenda. La risposta può essere una sola. Ci sono luoghi del mondo in cui la Storia può ancora svilupparsi, evolvendosi o involvendosi, ed altri che hanno raggiunto uno stato di perfezione, di omeostasi, che va preservata in quanto tale e dove la Storia può solo scorrere in argini predefinita. E' la risposta, implicita, non detta dei difensori dello status quo. Ma è una risposta che non ha alcun senso. Davvero è la parola di chi nel manicomio afferma di essere Napoleone. Perchè chi l'afferma oggi, nella sua giovinezza o iniziale maturità ha assistito spesso entusiasticamente al dissolversi degli imperi coloniali. Una sessantina di nazioni, studiate in geografia da mio padre sono più che triplicate nello studio dei miei figli. Confini, etnie, religioni, lingue sono state frullati in tutti i modi possibili, con tutti i mezzi possibili, dai pacifici trattati alle guerre civili. Quelli erano i luoghi della Storia in azione. Storia che non può agire nella Spagna che ha raggiunto l'optimum. Può agire in Jugoslavia, può agire in Unione Sovietica, può agire in Serbia, può agire in Ucraina, può agire nel Kossovo, può agire nel Donbass. Può agire in Gran Bretagna e Scozia. Non può agire in Spagna e in Catalogna. Ma chi decide? Il popolo, diciamo noi che crediamo nella sempre più periclitante democrazia. Ma quale popolo? Quello della parte o quello del tutto? L'intero popolo della Unione Sovietica o solo il popolo ucraino? L'intero popolo ucraino o solo i russofoni del Donbass. L'intero popolo serbo o solo i kossovari? L'intero popolo della Gran Bretagna o gli scozzesi? E se il popolo di una parte agisce che si fa? Si assiste come in Scozia, si interviene contro il governo centrale come in Kossovo, ci si schiera con il governo centrale come a Barcellona? O ci si abbandona allo storicismo da operetta di chi confronta la storia della Generalitat con quella di Braveheart o delle armate serbe sterminate dai turchi nelle piane del Kossovo o della fondazione di Sebastopoli o del Rus di Kiev. Cioè a chi prova a definire la Storia, che è un processo,, con la geografia che è immobilità. E non sono i difensori dello status quo nei luoghi dove la Storia sarebbe finita, i più forti sostenitori del superamento degli Stati nazionali per tornare ad entità multi etniche, multi linguistiche, multi religiose, che chiamiamo più Europa ma che nulla sono se non i vecchi imperi più il suffragio universale (quando si vota come vuole la Storia, perchè se no il votante è rozzo, ignorante, retrogrado). Li di colpo la Storia "perfetta" si rivela perfettibile. Cioè il darwinismo ci indicherebbe la via del dinosauro europeo, perchè c'è quello americano e quello cinese. Ma ovviamente indica al dinosauro russo la terapia opposta: farsi mammifero baltico, caucasico o centroasiatico. Ma allora questa Storia è finita o è in movimento? E dove va?E soprattutto chi lo decide?

lunedì 25 settembre 2017

C'è un giudice a Berlino

Adesso tutti vi staranno parlando della sorpresa tedesca. Si aspettavano l'accordo conclusivo della fanfara sulla fine della crisi, più o meno il classico chi ha avuto, ha avuto, ha avuto. L'ultimo chiodo sulla bara dei populismi sconfitti(?) nelle elezioni del 2017. E invece le cose sono andate a Berlino esattamente come sono andata a Parigi o ad Amsterdam o a Vienna. Il crollo dei partiti storici, tutti e due ai minimi del dopoguerra. La punizione di una socialdemocrazia compromessa fino al marciume nelle politiche neo liberiste. Il successo della ultradestra nelle regioni più in crisi dal punto di vista economico. Nessuna sorpresa, quindi. A meno che abbiate creduto a tutti quelli che vi indicavano nella Germania merkeliana il paradiso d'Europa, il sol del vostro avvenire e non chi per anni vi ha parlato dei mini job che giustificano insieme il mistero di una disoccupazione azzerata e della povertà crescente. A meno che abbiate creduto che davvero i dieci anni peggiori degli ultimi settanta dovessero finire alla Tomasi di Lampedusa. Certo nulla è cambiato, sulla crosta dorata. La Merkel farà i suoi sedici anni alla cancelleria, Rajoy sta alla Moncloa, un ministro di Hollande siede all'Eliseo. Ma sotto il patto politico sociale nato negli anni ottanta, il dogma liberista della Thatcher, non esiste la società ma solo l'individuo, arricchitevi perchè la ricchezza gocciolerà giù dalle vostre fauci verso i poveri là sotto, non regge più. Nemmeno in Germania. Non regge perchè non è vero, non funziona e non ha mai funzionato. Ci sono voluti quasi quarant'anni per assassinare la bestia statale, per strappare ogni libbra di carne messa su nei trenta gloriosi, ma adesso siamo alle ossa nude e tremanti. E ci siamo proprio nel momento in cui tutti avevano iniziato a dire che la festa era ricominciata. Ma è ricominciata, per voi, da molto più in basso di dove eravate prima. E la prossima crisi, che inevitabilmente arriverà, perchè il ciclo di crescita americano è già più lungo della media, ci/vi coglierà senza più nulla da sacrificare, così come coglierà le banche centrali senza più strumenti da utilizzare ed una Europa senza più un briciolo di solidarietà reciproca. Con in più un lascito avvelenato. Le sinistre di governo e le elite hanno creato un baluardo contro il populismo combattendolo sul piano delle ricette economiche ed hanno "vinto". Il Trump isolazionista e protezionista è stato ingabbiato nello scandalo russiagate e ridotto ad essere quello che un buon Presidente degli Stati Uniti d'America "deve" essere. Lo sceriffo del mondo e il pagatore pronta cassa dell'industria bellica. La Le Pen è stata indotta a rinnegare il suo populismo anti europeista, a lasciare perdere l'euro, stesso percorso per la AFD tedesca. Ma siccome il vapore sotto pressione da qualche parte deve sibilare ecco che invece che allo 0,1% daremo la caccia al clandestino. E' una fantastica capriola. La destra estrema che faceva, senza saperlo fare, il mestiere della sinistra. La sinistra che ha fatto di tutto per non farglielo fare, tranne l'unica cosa che doveva cioè fare lei quelle battaglie, come dimostra il successo di Corbyn. Risultato gioco partita e incontro per l'0,1%.

sabato 2 settembre 2017

Per chi suona la campana?

"Sto pensando che abbiamo perso, e che abbiamo davanti tempi brutti, e mi chiedo: che cazzo ci farò con il resto della mia vita?" Ho sbattuto su queste parole, alla fine del primo capitolo di Skagboy il prequel di Trainspotting, poco dopo aver letto quelle pronunciate dal Teschio del Viminale. " ho temuto per la tenuta democratica del paese". E sono sempre più convinto che la grande crisi economica del decennio ci lascerà in eredità una nuova, epocale sconfitta, al posto della quasi facile vittoria che era sul piatto. Chiudere la parentesi di una evidente, spettacolare crisi del modello di voracità del capitalismo finanziario, con un odioso ripiegamento alla caccia al poveraccio. La vittoria culturale della destra più fascista senza neppure il vantaggio di metterla, come sta succedendo negli Stati Uniti, alla prova della sua naturale inefficacia. Perchè qualcuno mi deve spiegare in che cosa il muro di Trump o i reticolati di Orban si differenziano da Minniti, a parte il cruccio di Crozza. Badate, io la paura dell'immigrazione la capisco, capisco le motivazioni sociali dei poveri e dei senza casa italiani che non vogliono dover entrare in competizione con gli sfigati pellenera per i brandelli di welfare rimasti, dei disoccupati, sottooccupati e scoraggiati che non vogliono concorrenti nella corsa ai 5 euro l'ora che sembra il massimo che uno dei paesi del g7 sia in grado di offrirgli, delle donne che fantasmizzano lo stupro interraziale per non pensare a quello interfamiliare, che statisticamente sta in un rapporto di uno a cento. Ma, appunto, se non vogliamo, se non volete, ridurvi, al cruccio. Io l’ho ripetuto per un anno, come un mentecatto, ricordatevi di Oxfam. Ve lo state dimenticando. Nel mondo otto persone detengono la ricchezza equivalente a quella dei tre miliardi e mezzo più poveri. I poco più di duemila miliardari in dollari della lista di Forbes, valgono quasi 8 trilioni di dollari. Quattro anni di Pil del nostro paese intero. Quattro volte il nostro debito pubblico. 400 anni di manovre di austerità da 20 miliardi l’anno. E il problema sono i migranti? E’ con loro che dovete battervi per uno straccio di casa popolare? Per un lavoro pagato il giusto? Per la tenute democratica del paese? Ecco se non siete d’accordo con me ma con il Teschio del Viminale, se vi resta solo il cruccio, quella frase di Irvin Welsh, che commenta la sconfitta dei minatori inglesi al tempo della Thatcher, è una campana che suona per voi, non solo per me.

lunedì 7 agosto 2017

E se telefonando

Tu stai lì a iniettarti la tua dose di circenses. Che già di per se ti induce a tante riflessioni, visto che guardi i mondiali di atletica. E ci sono questi meravigliosi neri giapponesi, tedeschi, svedesi, svizzeri, oltre ai pronipoti dei “migranti economici” degli ultimi due secoli nei Caraibi, in Brasile, in Inghilterra o negli Stati uniti. E pensi venissero ad aiutarci in casa nostra, magari qualche medaglia la strapperemmo pure noi. Invece purtroppo non ci sono neri italiani e quei pochi che ci sono dai tempi della May e di Howe sono scarsini. Ma non è quello. E’ che all’improvviso Eurosport ti spara due pubblicità che ti tolgono il fiato. Una di telethon e una di save the children. Adesso i bambini con la malattia rarissima, o quelli che muoioni di fame hanno anche un nome. Il messaggio ti arriva dentro come un pugno. Il groppo alla gola della madre italiana, il silenzio disperato di quella africana, sono i tuoi che genitore lo sei e lo sei stato, sono i tuoi se sei, comunque, un essere umano. In due minuti percorri i gironi dell’inferno. E i pensieri si prendono a pugni tra loro. Perchè c’è una scala, oscena, nella sofferenza. Nessun bambino africano soffre di rare malattie genetiche. Quei reduci dal campo di sterminio in cui sono nati, lezioni di anatomia scheletrica che respirano e piangono hanno solo fame. Altrimenti sarebbero lì in pista a Londra a prendersi gioco dell’uomo e della donna bianca che arrancano a qualche pista di distanza. Ma il dolore di quelle madri è identico al dolore della madre italiana, valgono esattamente lo stesso. O quasi 10 euro al mese uno nove l’altro, telefona subito. Telefono subito. Telefono subito? Io? Tu? Noi? Voi? Sono quei dieci euro la soluzione? Se un milione di persone telefonasse subito. Cento milioni di euro. Abbiamo trovato la cura per dieci bambini italiani dato da mangiare a centomila bambini africani. Io, tu, voi, noi. E loro? Loro hanno appena tirato fuori duecento e passa milioni di euro per assicurarsi un paio di piedi nel PSG. Loro hanno appena preso venti e passa milioni di euro di bonus per un anno di lavoro. Loro hanno appena preso 700mila euro di incentivo all’esodo per aver fatto praticamente fallire un giornale truccandone le vendite. Loro, in otto, hanno tutti i soldi che servono a finanziare la ricerca e a stroncare la siccità in Africa. Noi, voi non dobbiamo telefonare, stravolti dal senso di colpa per la nostra fortuna di genitori o di nati nel posto giusto della tavolata. Noi, voi dobbiamo telefonare stravolti dalla ingiustizia intollerabile dei faraoni che indicano nell’elemosina la strada. Comprese le loro elemosine, magari senza limiti come quelle di Gates, ma dove ognuno insegue la pezza da mettere al buco che si è aperto sotto gli occhi nello yacht di cui sono i padroni e la cui rotta hanno tutto il potere di decidere e se va là è perchè loro hanno deciso che vada là. Telefonate.

domenica 23 luglio 2017

Storia d'estate

Ormai, purtroppo, è molto che non vale la pena di commentare le omelie domenicali di Scalfari. Per me, e per la mia storia, è un dolore. Ma oggi non riesco a passar sopra ad un incredibile contraddizione logica. Si occupa, tra le varie cose del Presidente francese Macron. Ora il recente mito della stampa progressista italiana, si scopre essere dotato nelle parole di Eugenio di "un tratto vagamente autoritario" per altro già "apparso a tutti in Francia e in Europa". Andiamo bene. Un tratto che gli ha già fatto perdere consensi a ritmo di record, così che, in poche settimane di governo, dieci punti di popolarità sono evaporati. Ma questo ovviamente sarà solo l'ennesima disillusione di tutti quanti giocano a fare Cristoforo Colombo e a sognare di buscar la sinistra passando per la destra. No il punto chiave è che Eugenio scopre in Macron i sintomi pericolosi di chi mira a diventare il capo politico dell'Europa e sollecita il nostro governo a fare in fretta a prendere le sue contromisure se non volete" ridurvi a una sorta di colonia del tipo Tunisia o Algeria o Marocco o addirittura Libia". Ma come? Sono anni che ci frantumate le palle con il deficit di governo dell'Europa, con Kissinger che non sapeva che numero di telefono chiamare, e anche in questo stesso articolo si ritorna a chiedere come panacea di ogni male l'istituzione di un ministro dell'economia europea e quando un politico sembra intenzionato a marciare su questa avenue che gli state così faticosamente costruendo dallo scoppio della crisi, lo invitate a "tagliarsi il ciuffo napoleonico"? Ma l'obiettivo finale non sarebbero gli Stati Uniti (d'Europa)? Che hanno un presidente, mica solo un segretario al tesoro e un governatore della Banca centrale, o no? Certo ma ecco la contorsione logica, ma Macron non va bene, non sta facendo bene, perchè come si vede in Libia, o nella vicenda dei migranti, o in quella dei cantieri di Saint Nazaire dove sbarra la strada alle nostre imprese, lui agisce nell'interesse del "suo" paese e non della mitica Europa. Insomma sta facendo con i tipici mezzi francesi lo stesso gioco che ha fatto in tutti questi anni la signora Merkel. Cioè gli interessi di uno stato nazionale che si pone come guida e che, quindi, impone ai partner dell'Unione di uniformarsi e di assecondare le politiche del leader. Incredibile a dirsi, vero? Gli unici che dovrebbero rinunciare a fare i propri interessi, o meglio arrivare a convincersi che questi interessi sono quelli degli altri, siamo noi. Ma io la conosco l'obiezione. In America, perchè l'obiettivo evidentemente non è una fantomatica e mai esistita Europa ma uno stato federale reale come l'America, il presidente mica fa gli interessi del Idaho contro quelli del Wyoming. Ora a parte che è tutto da vedere, anche oggi, ma a chi gioca con la Storia vorrei ricordare che ci sono voluti 184 anni perchè là ci fosse un presidente cattolico e più di ottanta perchè un politico del Sud tornasse alla Casa Bianca dopo la guerra civile, e ci riuscì solo perchè aveva vinto la seconda guerra mondiale in Europa. Per non parlare dei due secoli e rotti per il primo nero. Quindi se mi venite a dire che gli Stati Uniti non hanno una, complicata, politica interna fatta di conflitti e contrasti, chiamo l'ambulanza. E giocando con la Storia ricordiamocele le volte che l'Europa si è unificata, o quasi. Con Roma, con Carlo Magno, con Carlo V, con Napoleone, con Hitler. Si chiamavano (al di là dei giudizi sul singolo governante) Imperi non Stati Uniti.

giovedì 13 luglio 2017

Titanic

Adesso l’iceberg non è nemmeno più una metafora. Sta lì, grosso come la Liguria, sulla nostra rotta. E piccoli colpi di timone non basteranno ad evitarlo. Leviamo i calici alla Volvo, che tra un paio di anni costruirà solo auto elettriche. Ma sono quisquilie. Ci stiamo avviando, come ciechi Ahab, verso la nostra balena bianca che nuota placida, ignara del furore predatorio che la insegue. Ogni colpo della sua coda già smuove ondate che ci spazzano. Non la vediamo, ne intuiamo la scia quando gli incendi consumano i paesi del clima temperato. Quando gli abitanti di quelli tropicali si spiaggiano sulle nostre coste. Fenomeni naturali, ci ostiniamo a chiamarli, quando di naturale non hanno più nulla. Estrema difesa del mondo contro chi avendo tutto vuole sempre di più, senza condividere nulla. E come il patetico Starbuck, l’onesto, timoroso, secondo del Pequod nessuno che abbia il coraggio di strappare il timone dalle mani dei folli indicando la rotta di casa. Posto che il tempo ci sia, che le barche non siano già state calate e i ramponi affilati. Che il capitalismo non stia già ritto sulla prua gridando, dal cuore dell’inferno io ti trafiggo. E che poi non resti altro che il grande sudario del mare, indifferente come milioni di anni fa.

lunedì 3 luglio 2017

Oh, Jeremy Corbyn

Oh, Jeremy Corbyn. E’ il coro da stadio che accoglie ovunque il leader laburista inglese, diventato ormai un tale tormentone che gli organizzatori di Wimbledon hanno deciso di impedire che possa essere cantato tra un ace e una volèe. Ma voi lo cantereste Oh Giuliano Pisapia, durante il concerto di Vasco Rossi se lui apparisse a sorpresa come ha fatto Corbyn al Glanstonbury festival? Beh, se ce la fate, siete degli eroi. Perchè il coro inglese sottolinea l’assoluta dedizione ad un idea, senza mai cambiare idea. Dal 1983 al 2017. Chiunque fosse al governo, loro o noi. Dagli arresti per le manifestazioni anti apertehid, a quelli per il dialogo con i terroristi dell’IRA, dal rifiuto che lo portò di nuovo sulla soglia del carcere per l’opposizione alla Poll tax dei conservatori, ai 429 voti in dissenso contro il governo Blair, compreso il no alle sue guerre. Giuste o sbagliate, che vi piacciano o no, le sue sono convinzioni. Invece io, voi, dovremmo stare insieme con uno che appena sei mesi fa voleva stravolgere la costituzione, essendo per di più non un carneade ma un rispettatissimo avvocato che quindi qualcosina deve aver studiato. Dovrei, dovremmo, farci travolgere da un brivido orgasmico di fronte a gente che dice abolire l’articolo 18 è stato un errore, dopo aver predicato la lealtà al governo che lo aboliva, così come prima sosteneva che il pareggio di bilancio in costituzione “ma siamo matti” e poi giù a votarlo. Dovrei, dovremmo, in nome del meno peggio, esultare per gente il cui progetto è, in soldoni, tornare a quel PDS che proprio essi sciolsero facendoci la lezioncina sul futuro come se già quel PDS non fosse stato artefice dei primi passi di smantellamento di welfare e tutele, come se Corbyn avesse, bel bello, riproposto nel manifesto for the many not the few il programma di Blair. Dovrei, dovremmo continuare a credere nella retorica europeista che ci impedisce di nazionalizzare le banche fallite ma non di regalare 5 miliardi a Banca Intesa perchè ne rilevi i buoni affari, mentre Corbyn caccia dal suo governo ombra chi vota in parlamento contro la volontà popolare espressa dal referendum sulla Brexit, capito Pisapia?. Oh! Jeremy Corbyn.

mercoledì 21 giugno 2017

Cameriere mi porti il Conte, per favore.

Jon Ossoff, chi era costui? Era , per dirla con le parole del nostro presidente del consiglio il Conte Paolo Gentiloni Silveri, viendalmare,un esponente della sinistra che vince. Perchè ci ha detto il Conte, nato maoista e gruppettaro per finire rutelliano e renziano, davvero che spreco che si fa della vita a volte, quella che perde non gli piace. Quella che perde, dice, è quella di Sanders e di Corbyn. Quella che vince, ovviamente, deve essere quella di Macron. E Jon Ossoff è proprio un macronide della Georgia, USA. Impegnato con il sostegno economico spettacolare dell’ala clintoniana del partito, quasi 23 milioni di dollari di spesa, a vincere la più facile delle campagne elettorali per un seggio parlamentare in una supplettiva. La più facile, a leggere le nostre cronache e i nostri commenti, basata sullo slogan: rendete furibondo Trump. Quel presidente spregevole e disprezzato, inseguito dall’impeachment per ostacolo alla giustizia, forse spia russa o comunque succube di Putin, quel pagliaccio che sapete e che in quel particolare distretto, di buona classe medio alta americana, aveva vinto per appena il 2% dei voti sulla Clinton. E quindi vai col macronide, sottospecie hillaryca. A me i repubblicani per bene, disgustati dal capello color paglia, vai con un bel programma centrista, e chi se ne frega dell’elettorato di Sanders, quello che avendo sentito il conte Gentiloni perde, insomma la ripetizione in salsa giovanile del sorriso rictus della ex first lady. Ovviamente la sinistra che vince ha perso. Si è scoperto che per quanto gli americani disprezzino Trump, solo il 31% nell’ultimo sondaggio pensa che un congresso controllato dai democratici attuali avrebbe un qualche impatto positivo sulle loro vite. Questo voto, per noi giornalisti qui a destra dell’Atlantico non significa nulla, abbacinati dal Re Sole dell’Eliseo e dal suo insostenibile splendore vincente, 16% degli aventi diritto al voto nel ballottaggio delle politiche. Però se leggeste The Nation, The Jacobin, Vox e pure il Financial Times vedreste che loro ne parlano, eccome di Jon Ossoff. Come dell’ultima pietruzza tombale sulla sinistra che vince di Gentiloni. Quella che per riuscirci, e ormai non sempre, è diventata solo un’altra destra.

mercoledì 7 giugno 2017

La versione di Corbyn

Tra qualche ora sapremo quanto vicino Corbyn è andato alla vittoria e quanto lontano si è portato dalla catastrofica sconfitta che tutti gli avevano pronosticato almeno dal giorno della Brexit. Ma già adesso ad urne aperte sappiamo quanto grande è la sua vittoria culturale, quanto grande la speranza che potrebbe accendere nei cuori di mezza Europa se solo tutti non fossero accecati dal breve periodo. Perchè Corbyn è riuscito a riaffermare come attuali,e politicamente presentabili, le vecchie, buone idee della sinistra. Senza inventarsi nuovi soggetti dai nomi fantasiosi, senza aprire cantieri, campi, possibili e impossibili. Ha preso il vecchio, glorioso nome del laburismo inglese e con tenacia lo ha ricolmato dei suoi contenuti classici. Lo hanno deriso, dipinto come un vecchio arnese, una specie di Chavez europeo. Mentre gli intellettuali si innamoravano di un Renzi, di un Macron, di uno Schulz, lui ha vinto due congressi in cui l’apparato blairiano ha tentato di assassinarlo politicamente, e semplicemente ripetendo le idee e i concetti che ha predicato da quando aveva vent’anni ad adesso ha riportato centinaia di migliaia di giovani ad iscriversi e palpitare per le idee socialista. E di fronte alla sfida spregiudicata di una leader conservatrice che ha provato a trasformare la disfatta subita dal suo partito nel referendum in un opportunistico trionfo a base di Brexit significa Brexit, ha saputo fornire agli elettori una narrazione diversa. Proprio lì dove il popolo si era trincerato in un isolazionismo al grido di i nostri problemi sono aggravati dagli “altri”, ha saputo ribadire che i nostri problemi nascono solo dalle “nostre” politiche. Perfino rigirando nella piaga dell’austerità il coltello dei tagli alle forze di polizia, decisi dalla May in base all’odio anti statale, e che certo rendono più facile ai terroristi il loro sporco lavoro. E adesso offre non la negazione della volontà popolare, come hanno detto e fatto le sinistre figure che altrove si proclamano di sinistra, ma la sua vera interpretazione di sinistra. Perchè la Brexit, così come l’uscita dall’Euro, o l’esservi entrati, non è un atto tecnico e neutrale ma prende il suo colore e il suo significato in base a come lo si gestisce, a quali politiche cancella e quali inizia ad applicare. Eccolo allora il voto utile, che riporta la sinistra alla sfida che può essere vincente o perdente ma sui propri valori ed obiettivi. Se non oggi, domani. Ecco la sfida che fa chiarezza nella melma centrista. Cosa voteranno i Bremainers? Cosa i famosi giovani dei melensi richiami all’Erasmus. Sarebbe potuto accadere anche in Francia dove i voti socialisti uniti di Melenchon e Hamon al primo turno avrebbero garantito il primo posto in vista del ballottaggio e l’eliminazione della Le Pen. Cosa avrebbero votato e titolato in uno scontro Macron Melenchon? Cosa avrebbero invocato e titolato al posto della Union sacrée antifascista? Perchè quelli che oggi parlano della cecità della sinistra, riferendosi al PD, tacciono della versione di Corbyn? Io credo di saperlo.

martedì 30 maggio 2017

Non fate quella faccia

E’ un bel po’ che non parlo più di politica italiana. Dopo averlo fatto per mestiere la trovo oggi insopportabile. Ma ne sono tratto da alcuni editoriali apparsi sulla Repubblica. Di singolare incoerenza. Perchè imputano a Renzi di proseguire in quel progetto che hanno accompagnato con peana, tranne la breve parentesi sucessiva al 4 dicembre, non si fosse visto mai che il Pd avesse trovato la forza di liberarsene. Alti lai per la collaborazione sulla legge elettorale con un certo Berlusconi. Con cui mi pareva che Renzi avesse fatto un patto addirittura per rifare la Costituzione. Alti lai per un accordo col centrodestra, come se il governo sostenuto all’epoca e pure oggi da Alfano e Verdini fosse un soviet di trozkisti. Alti lai perchè non ci sarebbe la chiarezza del programma. Amici miei, la vedete kla continuità tra il job act e il voto in parlamento, con Forza Italie e i terribili populisti della Lega sui Voucher. La linea è chiara e diritta da almeno quattro anni ( sono almeno dieci ma non formalizziamoci). Ma queste sarebbero incoerenze tutto sommato minori. Quella massima riguarda il nuovo idolo Macron. Che ha fatto esattamente lo stesso. Percorso da un sedicente sinistra verso il centro e poi accordo con la destra istituzionale di Fillon, pregasi controllare chi è oggi il primo ministro a Parigi, per sbarrare la strada agli opposti populismi. Vi prego osservate la realtà. Se come dite da anni il vero problema è sbarrare quella strada, e quindi da noi impedire ai 5 stelle da un lato e ai leghisti dall’altro di governare, voi cos’altro state sostenendo se non l’alleanza Renzi Berlusconi ( il che non escluderà ovviamente i leghisti in un modo o nell’altro)? Vorreste fossero Macron e Fillon? Merkel e Schulz? E ma noi questo abbiamo, quindi allegri, non fate quelle facce da funerale, del resto non vi vedo sprecare inchiostro in favore di Corbyn. Non fatemi come il vecchio Pisapia ia ia oh, che adesso dopo aver votato si al referendum si accorge che Renzi, oddio oddio, guarda a destra e non verso di lui. Bel leader, occhio fino, capacità di analisi, complimenti. Adesso tocca aprire di corsa il cantiere per raccattare tutti insieme, dopo essersi sfanculati sulla costituzione, quel 5 per cento necessario ad accularsi nell’emiciclo. Il voto utile, immagino, si dirà. Tipo quello che ha prodotto, via Vendola, Gennarino Migliore. Ussa via!

lunedì 22 maggio 2017

Il regno di Id

Secondo l’immortale striscia del Mago Wiz: “ Maestà come va la guerra alla povertà? La sto vincendo. E tutti quei poveri là fuori? Loro l’hanno persa.” Mario Draghi ci ha annunciato qualche giorno fa che la crisi è finita. Ha ragione. E’ finita. Nel senso che con il voto in Francia sono finite, nel ragionevole futuro, le possibilità che la costruzione dell’Euro entrasse in crisi dal punto di vista politico. Qualche anno fa, al culmine della crisi dei debiti sovrani, Paul Krugman da economista si stupiva della sopravvivenza dell’Euro, una insensatezza economica. Ma poi ammetteva, quello che lo tiene in piedi è l’immenso investimento politico che ha comportato. Come si è visto la diagnosi era corretta. Solo una perdita catastrofica sul piano politico avrebbe potuto eliminare l’errore economico (che poi errore non è visto che la crisi da esso parzialmente indotta è servita allo scopo che l’inventore della teoria delle aree valutarie ottimali gli attribuiva, quello di essere il reaganismo che avrebbe demolito l’Europa del welfare). Questa perdita politica c’è stata, ma non in misura sufficiente. In Francia oltre il 40% degli elettori sui due rami dello schieramento si è schierata contro la struttura vigente, ma al secondo non si è sommata. Non voleva, e se anche avesse voluto tutto è stato fatto per renderlo impossibile. E Marine Le Pen nei giorni successivi alla sconfitta non ha mostrato maggior spessore di Tsipras dopo la vittoria. Gli orizzonti quindi si allontanano politicamente di un quinquennio, il secondo dall’inizio della crisi europea, quasi il terzo dallo scoppio di quella globale. Potrebbero accorciarsi ma solo al prezzo di una nuova scossa economica che, francamente, nemmeno un tantopeggista come me riesce ad augurarsi e ad augurarvi anche se in parte ce la meriteremmo. Il sistema è dunque riuscito a inglobare e digerire la più potente malattia dai tempi del 68. Lo ha fatto in buona parte grazie a noi. Dalla Grecia agli Stati Uniti le varie sinistre, dai portuali del Pireo agli attori di Hollywood, hanno tremato sull’ultimo scalino. Ad Atene, quindi, la società civile ha fatto un salto indietro di mezzo secolo. A Washington il salto è temporalmente irrilevante, l’America fa esattamente lo stesso che ha sempre fatto, guardate i traffici di armi con i Sauditi alla faccia del 11 settembre e delle sue povere vittime, ma il lavoro dei globuli bianchi di CIA e FBI ad ogni minimo contatto di Trump con i russi è l’equivalente moderno dei tre proiettili di Dallas. Nemmeno dalla Casa Bianca si può sfidare il complesso militar industriale. Caligola non può portare le legioni a raccogliere conchiglie. Ma adesso tocca tornare alla striscia di Parker e Hart. E’ finita, d’accordo. Ma quegli straccioni nel cortile del castello? Quell’Italia, per stare nel nostro piccolo, disegnata dai vignettisti dell’Istat. Impoverita, proletarizzata visto che si fatica a rintracciare il ceto medio gemma del nostro miracolo economico. Spaventata e incattivita. Uno spazio sociologico immenso per una sinistra che tornasse a fare il suo mestiere di pedagogia delle masse. Dato che le masse anche se ridotte ad una infinità di individui continuano ad esistere, così come continua ad esistere la pietra anche se noi sappiamo della sua struttura atomica. Una sinistra pedagogica per la buona causa degli sconfitti della crisi, invece che la sua versione corifea dei vincenti ha bisogno, oltre che di idee nuove e del recupero di quelle vecchie, di tempo. Ma oggi è totalmente preda dell’orizzonte corto delle elezioni. Un Marx, un Lenin, un Togliatti o un Berlinguer, oggi, non avrebbero una seconda chance. Tutto si deve prostituire al miraggio del governo. E’ quello che con strazio vedo accadere in Gran Bretagna. Un programma come quello di Corbyn, for the many not for the few, assolutamente condivisibile e probabilmente capace di invertire il pendolo avvelenato del tatcherismo, sarà accusato di essere il responsabile della possibile sconfitta, che invece sta nella sottovalutazione della rabbia sociale che ha portato alla Brexit tema che doveva essere dei laburisti e non di quel pagliaccio di Farage, e, con grande piacere del Re di Id, messo da parte invece di stare lì ad attendere la prossima, inevitabile, crisi come pietra di paragone di quello che si può fare di diverso e migliore. E avremo perso davvero.

venerdì 12 maggio 2017

Il fantasma della libertà

Bunuel aveva fatto un film geniale, Il fantasma della libertà, che si apriva con i rivoltosi che urlavano Viva la catena e finiva con lo sguardo attonito di uno struzzo sui rumori di una repressione di piazza. Lo struzzo, quello della testa sotto la sabbia. Questo è in soldoni il programma del partito laburista di Corbyn alle prossime elezioni. Rinazionalizzazione delle ferrovie perchè i privati non hanno a cuore gli interessi dei passeggeri. Dell’energia elettrica per imporre una conversione rapida alle rinnovabili per combattere il cambiamento climatico. Un impegno a costruire centomila nuove abitazioni popolari ogni anno con fondi pubblici. L’abolizione delle tasse universitarie, oggi fissate a 9000 sterline all’anno. La fine del processo di privatizzazione del sistema sanitario nazionale che verrebbe rifinanziato con 6 miliardi di sterline all’anno. L’aumento dei fondi per il welfare di un miliardo e seicento milioni. L’abolizione dell’aumento dell’età pensionabile a 66 anni. Investimenti pubblici fino a 250 miliardi di sterline per creare un milione di posti di lavoro di alta qualità, l’abolizione dei contratti di lavoro a zero ore, l’aumento delle tasse per i redditi sopra le 80mila sterline. Il divieto di missioni militari all’estero finchè ogni alternativa diplomatica non sia stata esclusa. Potrai dire che è un libro dei sogni. Ma almeno non è il libro degli incubi del neoliberismo ed è come si vede l'opposto esatto del populismo di destra. Ma "ovviamente" non va bene perchè troppo di sinistra e quindi avrà meno del 30% dei voti. Quindi. Se c'è un fascista noi di sinistra dobbiamo votare il banchiere, gratis. Se ci sono i conservatori pro brexit invece, i benpensanti remainers, che sono il 49%, più tutti quei bravi giovani che non sono andati a votare ma che ci hanno a posteriori rugato le palle con il loro futuro europeo, pur di non sporcarsi le manine con i diritti dei poveri, lasciano vincere i brexiters della May. Io mi sono stufato degli struzzi

martedì 9 maggio 2017

L'arc de triomphe

E’ dal tempo di quella di Obama che non si vedevano erezioni paragonabili. Le torri Eiffel della speranza e del compiacimento svettano su un panorama che era stato fin qui mesto e pesto. Ora, che questa tumescenza si verifichi non per Obama ma per Macron è già un segno dei tempi. Dal primo presidente nero di un paese ad una generazione dall’apartheid, ad un banchiere a più due secoli dall’arricchitevi di Guizot. Comunque il problema non sta negli esordi. A differenza di tutti i colleghi per cui le elezioni sono uno straordinario momento di coscienza popolare solo se vanno come uno spera, io non mi metterò certo a dire che i francesi hanno sbagliato, o che sono ignoranti come gli americani e gli inglesi di Trump e della Brexit. Prendo atto che posti di fronte ad una scelta chiara hanno chiaramente scelto. Hanno, certamente, ottime ragioni. Una delle quali, e questo va sottolineato, che, a differenza degli anglosassoni che non l’hanno mai provato sulla pelle, sentono ancora il valore della pregiudiziale antifascista. Da italiano, come ho ricordato nell’ultimo contropelo questa pregiudiziale da noi è tanto dichiarata quanto risolutamente disattesa almeno dal 1993, ne sono felice e spero che tutti i macroniani locali la vogliano applicare nel prossimo futuro. In senso generale il voto di Parigi indica che l’ondata populista, per ora e per un verosimile futuro, non raggiungerà i palazzi del potere. Ha quindi ragione Munchau a scrivere che il voto francese è la prima vera buona notizia per l’Unione europea dall’inizio della crisi del 2008. Capisco un po’ meno l’entusiasmo di chi si considera di sinistra, all’idea che le macerie della crisi, il carnage avrebbe detto Trump, si lascino dietro un Europa più a destra in ogni senso. I Conservatori inglesi, sconfitti nel referendum da loro indetto, banchetteranno sul cadavere di labour che ha fatto sull’argomento il pesce in barile, perdendo sia i brexiters proletari che i remainers intellettuali. La Spagna, rifiutando l’accordo Podemos Ps, si è riconsegnata a Rajoy. La Francia passa da un soi disant ma comunque socialista a un tecnocrate dichiarato, mentre la sua destra si trasforma da gaullista a lepenista. L’Italia vede il suo voto costituzionale, totalmente ignorato e irriso dalle istituzioni, con lo sconfitto in capo che torna a dettare tempi e legge. Ecco: il problema non sono gli esordi sono gli sbocchi. Otto anni di Obama ci hanno portato a Trump, segno che qualcosina non deve essere andata come l’abbiamo raccontata. Otto anni di crisi da questo lato dell’Atlantico ci portano a Macron, cioè al cambio di locomotiva ma sullo stesso binario ideologico da cui veniamo. E su cui correranno probabilmente più forti. Io ho deciso. Vado anch’io sanza meta, ma da un altra parte

giovedì 4 maggio 2017

Il secondo fronte

Una domanda, se volete provocatoria. Marine Le Pen è, oggi, più o meno fascista dello schieramento che ha vinto tre volte le elezioni in Italia, Berlusconi, Fini e Bossi? Secondo me lo è meno e quindi faccio davvero fatica a sopportare questo pseudo spirito da Union sacrée che coinvolge perfino persone di solito attente come D’Arcais o Giglioli, tutti intenti a fare distinzioni gesuitiche sulla barriera da opporre in Francia. Ora, a parte che noi in Francia non votiamo e, quindi, tutta questa agitazione mi pare solo destinata a seminare il terreno per un analogo appello anti 5 stelle quando il momento verrà, se qualcuno può strillare all’Union sacrée sono i paesi che l’hanno praticata, ad esempio proprio la Francia ai tempi di Jean Marie Le Pen, fascio vero e bollinato e difatti sui palchi insieme a Gianfranco Fini. Ma noi italiani? Noi che abbiamo benedetto, dall’Avvocato all’intera batteria delle firme del Corriere, il Cavaliere e il suo codazzo di Calderoli e Borghezio, di Gasparri e Alemanno e La Russa? Definiti come una rivoluzione liberale, non appena bevuta un mezzo bicchiere di Fiuggi. In cosa costoro erano meno fascisti o razzisti dell’attuale Front National? Ripeto secondo me lo erano di più. E più pericolosi dato il potere mediatico e il servilismo italico. Mi direte: e che c’entra noi ci siamo opposti a quella gentaglia e quindi ci opponiamo anche alla Le Pen. Ci sto, allora espungo D’Arcais e Giglioli, ma non uno solo di coloro che hanno militato o votato per il PD dal novembre 2011 ad oggi, visto che con quella gentaglia avete governato e in parte scritto la fortunatamente bocciata riforma della Costituzione. Eppure vi sento e vi leggo. Vi siete strappati la striscia imbevuta di Chanel numero 5 da sotto il delicato nasino e annusate il fetore di oltralpe con voluttà da tartufari. Fate attenzione però a non buttarla perchè con Berlusconi e i suoi vi toccherà rifare accordi e governi nel prossimo futuro, dati i numeri. E qui vengo alla domanda retorica fatta da Giglioli in un suo post su Facebook, chissà se si sarebbero fatte tante pulci alla Le Pen se avesse dovuto battersi domenica con Melenchon. La risposta, parecchio irritata, confesso, sta in quanto scritto finora. Tre volte l’Italia ha scelto loro e dall’altra parte c’erano innocui personaggi come Occhetto, Rutelli e Veltroni. E allora perchè, perchè ancora una volta stregati dal ricatto del meno peggio facciamo finta di non sapere che il nostro voto viene sempre chiesto gratis, come sacrificio alla patria. Chi scelsero la Gran Bretagna e la Francia del Fronte popolare in Spagna, tra gli sgherri di Franco e Garcia Lorca? Chi scelsero tra i poveri cechi e il male assoluto hitleriano? Dove furono le sanzioni alla cubana contro Pinochet o Videla? Se volete il fronte unito contro il fascismo deve essere a doppio senso, come quello di Churchill Roosevelt e De Gaulle. Contro Hitler perfino con Stalin. Per meno di così, cavatevela da soli.

martedì 2 maggio 2017

Macronfagi

Guai se nel nostro corpo mancassero i macrofagi, gli spazzini del nostro sistema immunitario. E guai se i Macronfagi non stessero lavorando alacremente di scopa nella società. Continuerebbe a perpetuarsi l’equivoco di questa sinistra non sinistra che va da Orlando a Varoufakis, da Michele Serra a Tony Blair, e di cui io non faccio più, orgogliosamente, parte. Avendo citato il compagno di sdraiate, le sue metaforiche, le mie reali, non ci si può esimere, dopo la mia affermazione, dal rievocare il titolo di una memorabile rubrica del vecchio Cuore, quando ancora una stilla di sangue correva nelle sue arterie. E chi se ne frega. In effetti: chissenefrega. Non fosse che io sono uno come tanti, una milionata alle primarie del Pd, circa un terzo rispetto alla volta precedente, non più interessati all’oggetto. Disinteresse reciproco, per altro. A loro non gliene può fregare di meno di noi. Hanno provato a farcelo capire con le loro scelte strategiche, ma in tanti hanno continuato ad ingoiare la medicina fino a risultare totalmente vaccinati al morbo delle ingiustizie sociali, in soldoni quel milione e otto che ha consapevolmente scelto il partito di Renzi dopo averlo assaggiato per tre anni, quelli che voteranno Macron dopo 5 anni di Hollande e Valls. Quando si sono accorti che altri resistevano, hanno deciso con rocambolesca saltinbancheria di dargli dei fascisti. Lo schema probabilmente riuscirà in Francia, è fallito da noi al referendum, chissà alle elezioni, ha un enorme sostegno dei media e degli intellettuali ma ovviamente è paradossale. Se un fascista vero difende oggi qualcosa che fu strappato, col sangue, ai fascisti veri ieri, se lo difendete pure voi allora siete fascisti. C’è della follia in questa logica. Ma c’è anche la logica. In fondo delle tre grandi risposte individuate da Gramsci al problema della modernità, comunismo e fascismo hanno fallito e solo l’americanismo è rimasto in campo. Quella roba lì per cui Obama prenderà adesso 400mila dollari per ogni ora di discorso, in cui ci spiegherà sussiegosamente che cosa bisogna fare per evitare che uno come Trump vinca le elezioni. Vai con la scopa.

martedì 25 aprile 2017

L'ultimo spettacolo

Ormai la direzione di marcia, forse non l'approdo, ma ci credo poco, è chiaro. La grande crisi dell'economia neoliberista e delle sue strutture di potere e comando si concluderà con un feroce spostamento a destra degli equilibri politici, senza che questo spostamento a destra si spinga abbastanza in là da creare uno squilibrio decisivo. Nel contempo la vecchia sinistra che si è compromessa con il sistema, avendo archiviato l'idea di controllarlo, pur di mantenere le sue posizioni di potere esce annientata per sempre. Elezione dopo elezione i dati si confermano i vecchi partiti socialisti, pur partendo spesso da posizioni di governo, precipitano verso, o direttamente, a percentuali a una cifra eppure non appena subita la batosta e mentre proclamano a gran voce di aver “capito” la lezione si precipitano a confermare tutte le politiche che li hanno portati lì, tipo il votate Macron al secondo turno, denunciando in questo modo la loro completa estraneità al mondo che li circonda. Quelli che non solo hanno “capito” ma ci hanno “pensato su”, diciamo la sinistra da Melenchon a Massimo D'Alema, passando da Tsipras e Corbyn, pensano di poter affrontare tempi di ferro con la stessa morbidezza con cui si avvolsero nei velluti della inesistente terza via. Non hanno il coraggio di affondare le mani nella merda e nel sangue della politica, secondo la vecchia formula di Rino Formica. E oggi la merda e il sangue sono le pulsioni identitarie, i razzismi, gli sciovinismi, i nazionalismi, i protezionismi,le xenofobie risorgenti. Questo no strillano, come demi vierge scandalizzate. E poi, ovviamente fanno il decreto Minniti ma nulla che possa turbare i mercati. E certo che no, certo che no. Ma le risposte! Non le domande! Non la domanda che chiede, disperata, protezione, aiuto, sicurezza. E' tempo di esercitare da sinistra la stessa spregiudicatezza che viene esercitata da destra. Non si può dire voglio un articolo 17 e mezzo, si deve dire voglio il 18 e mezzo. Perchè se no, ormai è chiaro, elezione dopo elezione la scelta reale che viene lasciata agli elettori è tra una destra ferocemente liberale, finanziaria, individualista ed una destra ancora più destra, verso l'infinito e oltre, Tra Trump e Clinton, tra i conservatori e l'Ukip, tra Wilders e Rutte, tra Macron e la Le Pen. Tra Renzi e Berlusconi. E gli elettori dimostrano di essere abbastanza disperati da affidarsi sempre di più alla destra che più destra non si può. Qualche volta vince: in America, al referendum inglese, qualche volta perde: in Olanda, in Austria verosimilmente in Francia, ma sempre dopo aver imposto uno spostamento dell'equilibrio impressionante. Sarebbero abbastanza disperati da affidarsi a una sinistra che fosse tale, che proponesse, credibilmente, soluzioni altrettanto drastiche ma opposte, che fosse pronta a infilare le sue mani nel calderone rovente a rischio di scottarsi? A parte Minniti o la Boschi, cosa avete da perdere nel provarci?

mercoledì 19 aprile 2017

La pillola rossa

Questo me lo hanno strappato dalle mani. Stavo leggendo l'ennesimo articolo sulle diseguaglianze e mi sono arenato sull'ennesima ripetizione della frase “ che hanno portato alla nascita dei populismi”. Ecco, signori, no. Non è questo che ha portato alla nascita dei populismi, qualunque cosa questa parola esprima a seconda delle diverse situazioni. Non sono le ineguaglianze. E' la scomparsa delle alternative non populiste per, non dico risolverle, ma affrontarle. Il populismo non è solo una reazione “antiscientifica” come, ad esempio, la mania anti vaccini che ci circonda. Non è solo un ritorno a credenze magico irrazionali, come l'affidarsi a un dio di fronte al fallimento inevitabile di una soluzione scientifica ad un problema di salute. E' anche il ricorso ad una medicina sapienziale, alternativa, prechimica, quando ti viene impedito l'accesso alle normali medicine che in parte funzionavano (anche se poi, alla fine, si muore comunque). Per quasi mezzo secolo si è lavorato, quasi esclusivamente, ad eliminare queste medicine, a stroncare ogni esperimento, a cancellare ogni prescrizione del farmaco anche in piccole dosi, partendo dall'assunto che se prendi 20 grammi di aspirina muori e quindi se ne prendi uno muori uguale. Gli esperimenti sono stati fatti finire coi carri armati dove si poteva(in Cile) con i mezzi della finanza dove non si poteva (nella Francia di Mitterand) con la moltiplicazione della minaccia nucleare quando serviva (nell'Urss di Gorbaciov) con lo snaturamento e la mutazione genetica di partiti e sindacati (ovunque). Tutto e sempre per cancellare chiunque e qualunque cosa volesse mettere in discussione i concetti di profitto e proprietà dei mezzi di produzione e parlare di redistribuzione e stato imprenditore. Può essere che fosse giusto così. Può essere, anzi è stato dimostrato, che la medicina nelle dosi prescritte dai sacri testi fosse talmente tossica e con tanti effetti collaterali negativi da far preferire la malattia. Ma ecco, sia chiaro, l'acqua che è stata buttata con il bambino dentro non era la malattia, era “una” cura. La malattia, di cui l'ineguaglianza è solo un sintomo, gli altri sono lo svuotamento della democrazia e la crisi climatica, è stata lasciata libera di espandersi. Dopodichè che i malati si affidino agli stregoni, a quelli che predicano l'odio per il diverso da Parigi a Istanbul, da Washington a Tora Bora, che si affidino a risposte così bizzarre e maleducate, signora mia, è solo una conseguenza. Ci rimpiangerete.

lunedì 17 aprile 2017

La presa della pastiglia; blu

E' una rivoluzione. No , maestà, è una rivolta. Ho intenzionalmente rovesciato il dialogo tra Luigi sedicesimo e il duca di Liancourt alla presa della Bastiglia. Siamo a una settimana dal primo turno delle presidenziali francesi, ad un paio dalla clamorosa capitolazione di Donald Trump di fronte all'offensiva congiunta dello stato profondo e dell'intellighenzia democratica. Una tenaglia irresistibile che ci consegnerà il peggio di due mondi, l'imperialismo militare dei neocon clintoniani e l'arretramento alt right sui diritti civili garantito dal nuovo giudice costituzionale, l'avventurismo del dilettante e il medioevo antiscientifico che ci porterà alla catastrofe climatica. Ma nella capitale dell'impero non sono consentite deviazioni, improvvisazioni. Siano i no global degli anni di Bill, quelli di Occupy Wall street degli anni di Obama, figuriamoci l'eresia isolazionista di Bannon. Il sospiro di soddisfazione di chi pensa di aver vinto la battaglia per impedire la deriva antidemocratica si mischia alla risata sommessa delle sigle davvero vincenti FBI, CIA, NATO. Il rintocco della Liberty Bell americana è quindi stato fesso, come sempre nella storia del meraviglioso paese, durato quelle poche settimane, come tra la fine della sua apartheid e la guerra in Vietnam Quella americana si è quindi dimostrata una rivolta. Possono essere terribili, sanguinose, lunghe, ma le rivolte sono sempre domate, si spengono sempre. Perchè in fondo le rivolte mirano sempre al ripristino, al ritorno di una età dell'oro. Non sono rivoluzioni che condannano l'esistente e il preesistente in nome di un futuro diverso, se non migliore. Infatti di rivoluzioni ne abbiamo avute due in 228 anni. Il repentino tracollo della rivolta trumpiana fa scalpore, però, solo per la rapidità. Il fallimento di una ricetta nata all'interno della stessa logica che ha originato la malattia non poteva e non può essere una sorpresa. La miopia di una sinistra che di fronte all'insorgere dei populismi, invece di sfidarli spostando l'attenzione dei disperati verso i veri bersagli, si è trincerata nella difesa dell'ordine esistente come minore dei mali adesso la costringerà a battere le manine ad ogni lancio di tomahawk. Invece di cogliere l'occasione di mostrare al mondo la crepa creata dalla contraddizione di sistema, tutti i cervelli si sono muniti della cazzuola per spalmare il cemento della mancanza di alternative. Di fatto dichiarando la propria totale inutilità. Adesso normalizzato Trump, basta attendere l'ultimo tornante. Tra tre settimane il ballotaggio francese. L'ultimo rischio di andare davvero fuori strada. Di vedere davvero la contraddizione che spacca l'edificio. Poi la grande occasione della crisi sistemica sarà andata perduta. Lenin sarà rimasto a giocare a scacchi in riva al lago, Robespierre continuerà a fare l'avvocato ad Arras. Ci daremo appuntamento alla crisi climatica, quando arriverà. Chi sarà così sfortunato da esser vivo a quel tempo.

venerdì 7 aprile 2017

Arcobalenghi

La pallina impazzita del flipper preannuncia il tilt. Pietroburgo,Idlib, Al Shayrat e Stoccolma. Noi, loro, il nemico del mio nemico, l’amico del nemico del mio nemico, mentre pezzi di esseri umani frullano nell’aria. Noi possiamo fare poco, ma non stiamo facendo niente. Quindici anni fa, tre volte la durata della prima guerra mondiale, più del doppio della seconda, sul tavolo c’era figurativamente la testa di un altro osceno dittatore, sterminatore del suo popolo, utilizzatore di armi chimiche. Eppure mentre Bush si apprestava a fare salsicce halal di una nazione, milioni di uomini e donne sfilavano avvolti nelle bandiere arcobaleno, arcobaleni che pendevano quasi allegri dalle finestre di una casa su due. I giornali come sempre clamorosamente incapaci di leggere il presente parlavano addirittura di nascita di una superpotenza, l’opinione pubblica. C’era un papa che fulminava condanne ai guerrafondai, c’erano paesi dotati di storia e memoria, guidati da gollisti o socialdemocratici, che dicevano di no, a rischio di vedersi boicottate le patatine fritte. C’era gente che pensava al fare e alle sue conseguenze, che pesava anche sulla bilancia traboccante del torto, il torto minimo di perseguire un paese e un uomo proprio per l’unica cosa che non avevano fatto, per l’unica minaccia che non costituivano. Sapendo che la perquisizione illegale, in uno stato di diritto, annulla il valore della prova ritrovata. Su tutto questo, certo, si è spalmata la marmellata dell’abitudine. E poi la banalità del bene. L’elegante, distinto, charmant ex inquilino della Casa Bianca. Davvero uno tutto chiacchiere e distintivo. Per cui oggi si può scrivere, temo credendoci davvero, che i tomahawk di stanotte sono un cambio dalla politica di Obama che usava “solo” i droni. Detto così pensi al giocattolino che fa le foto aeree al matrimonio non a una bestia da undici metri, che ti spara nel piloro un Hellfire o una Paveway con una testata più grossa del Cruise. E infatti nessuno sfila. Tutti si sfilano. Una bandierina, non tutte, sul profilo, la fotografia di un monumento colorato, non tutti, un segno di spunta sui posti da vacanza o weekend da evitare per i paurosi, o da sfruttare per un bel ribasso dell’albergo. E l’orrendo cialtrone criptofascista, il dilettante allo sbaraglio, l’anomalia repugnante, l’uomo di paglia del Cremlino, quello che deve cadere per salvare la scintillante democrazia con un impeachment, quale che sia la motivazione, quando attacca senza prove un paese senza dichiarargli guerra, op! torna ad essere il gendarme del mondo e noi, a Stoccolma solo per mezza giornata, ci sentiamo tutti contenti perchè il business è as usual. Arcobalenghi.

mercoledì 5 aprile 2017

La linea d'ombra

L’ho detto e lo ripeto. Io la storia della Russia non la capisco. E siccome non la capisco tendo a pensare che dietro ci sia altro. Ma forse mi devo rassegnare, come mi capitò quando studiavo la storia della Riforma protestante. Lì davvero si scannavano perchè uno credeva che Gesù Cristo fosse già nel pane prima della consacrazione e un altro invece che ci entrasse solo dopo. Poi ovviamente qualche principe se ne approfittava per ridisegnare i confini. Ma era vero. E quindi forse è vero che la Russia è oggi il principale problema del mondo. E che l’influenza che Mosca può avere sull’attuale imperatore d’occidente sia il terreno di scontro reale. La Russia di oggi. Da sfidare. Forse da travolgere militarmente. Tra Navalny e una bomba a Pietroburgo, tra una isteria mediatica, che manco ai tempi dei Rosenberg, e la ricerca del casus belli in Siria. La Russia che starebbe dietro, rubli alla mano, a tutti i populismi, come stava dietro a tutti i comunismi. Una guerra che noi, be insomma noi, combattiamo a suon di rivoluzioni arancioni e loro soffiando sui fuochi lepenisti o grillini, dopo aver centrato il bingo del Manchurian candidate alla Casa Bianca. Cui adesso l’idiozia di Assad, se vogliamo crederlo un idiota che nei giorni pari è al guinzaglio dei russi e in quelli dispari fa quello che gli pare, offre su un piatto d’argento l’esca avvelenata del gas. Riportandolo esattamente lì dove stava Obama nel 2013. Sull’orlo del confronto militare. I precedenti non sono esaltanti, dal golfo del Tonchino alle armi di distruzione di massa di Saddam, fino, appunto alla strage del 2013. Di cui, se vogliamo essere generosi, possiamo dire che non sappiamo chi la eseguì, anche se è praticamente certo che fu appunto il tentativo di dare un pretesto all’intervento. Ma oggi un Trump salito al potere anche per rovesciare la politica del duo Obama Clinton, si ritrova incitato dai soliti noti, tipo Hollande, a dover considerare cosa fare esattamente nella stessa direzione di marcia. I gas di Assad, ufficialmente distrutti sotto controllo Onu, con annesso nobel per la pace agli smantellatori dell’arsenale, mai usati mentre i tagliagole gli circondavano il palazzo e usati adesso, nel giorno alterno dell’idiota, mentre tutti ormai si erano rassegnati a lasciarlo a Damasco. Lo dico e lo ripeto. Io questa storia non la capisco. Ma inizio a credere che sia la vera storia.

lunedì 27 marzo 2017

Lo chiameremo Jeeg Robot?

Se siete convinti che la google car servirà a farvi parcheggiare con comodo siete degli illusi. L’obiettivo è quello di eliminare un altro snodo del lavoro umano, i camionisti. Che hanno la sgradevole abitudine di fare pipì ed aver fame di tanto in tanto, e se poi possono dormire magari evitano la strage in autostrada. Google truck questi bisogni ovviamente non li avrà, così il camion correrà, come quello di Duel, 24 ore su 24 al nostro inseguimento. Tra il 25 e il 40 % dei posti di lavoro tra 15 anni saranno a rischio di sostituzione artificiale, dice l’ultimo rapporto della Pricewater and Coopers. Questo non significa un’ automatica ed equivalente caduta del lavoro umano, perchè altri tipi di lavori sorgono di continuo, io cito sempre il settore dei videogames. Ma il dato è di quelli con cui dovremo e dovranno soprattutto i giovani confrontarsi per capire a chi andrà il dividendo della automazione. Perchè il punto è sempre questo. Se il lavoro non umano costerà inevitabilmente meno e produrrà presumibilmente di più, non è affatto detto che ciò debba essere un male per gli umani. A patto che quei risparmi e quella maggior produttività non vengano sequestrati e tesaurizzati dai soliti noti. Ma siano redistribuiti. E non sotto forma di reddito di cittadinanza, che ci trasforma in puri consumatori a livello di sussistenza, dando sbocco alla produzione robotizzata e moltiplicando i profitti. Ma in maggiori risorse pubbliche per un welfare sempre più caro, pensiamo alla medicina di avanguardia e in tempo libero dal lavoro. Meno ore, meno giorni di lavoro a parità di salario. L’Utopia keynesiana, le tre ore di lavoro giornaliero che ci sarebbero bastate per vivere in modo soddisfacente lasciando il resto del tempo ad una espressione libera di sè, che può ovviamente anche essere ulteriore lavoro, ma non più nello scambio asimmetrico tra prenditore e prestatore d’opera. Insomma il robot potrà essere strumento ancora più micidiale di ingiustizia ed ineguaglianza oppure una grande occasione di liberazione. Noi schiavi degli automi o loro al nostro servizio. Di tutti, non di 8 o 10 persone. Per riuscirci bisognerà lottare, come lottarono gli operai della prima industrializzazione. Io non so se farò in tempo a vedere la strada che sarà imboccata. Mi raccomando non fate scherzi.

domenica 12 marzo 2017

A domanda rispondo

Uno di voi mi ha chiesto, in privato, quale sia il mio giudizio sulla scissione del Pd. Troppo poco, troppo tardi. Credo che sia in qualche modo ovvio tenendo conto di quello che avete letto su queste pagine, almeno dal novembre del 2011. Troppo tardi perché ormai quasi tutti i danni sono stati fatti. Forse vi è capitato di vedere la reazione giustamente adirata di Speranza a proposito del provvedimento di licenziamento dell'operaio col trapianto di fegato della Oerlikon. Magari sarebbe stata più credibile e anche più efficace in generale se Speranza non avesse votato a favore del jobact! Troppo poco perché se la scissione si limita a cercare di impostare dall'esterno quella trattativa di edulcorazione dei provvedimenti più sconci che non si avuto il coraggio di impostare da dentro e, di conseguenza, se non si è disposti a rischiare il passaggio anche all'opposizione del governo non si ha evidentemente la minima idea dell'immensità del compito di ricostruire una credibilità della sinistra. Perché cari scissionisti avete non solo guardato ma contribuito. Non è mica per caso che il Bomba riunisca il suo partito al Lingotto. Versa il sale sulle nostre ferite, su quelle che si aprirono già allora eppure la crisi, con le sue conseguenze, non era nemmeno nell' orizzonte concettuale del discorso di Veltroni. Perché la deriva che avete consentito è stata così ampia che oggi gli stinti epigoni della terza via non hanno neppure più il bisogno di camuffarsi da sinistra. Ve la ricordate la foto dei quattro in Camisa Blanca alla Festa dell'Unità 2014? In francese Valls: e in Francia i sedicenti socialisti certamente al secondo turno, ma molti anche al primo, voteranno per Macron.  Lo spagnolo Sanchez: e in Spagna lo hanno abbattuto con un colpo di Palazzo perché troppo di sinistra dato che non voleva fare lo Junior partner di Rajoy.  C'era poi un Carneade olandese del Pdva che sarebbe il partito del falco del rigore Djsselbloom, capo dell'Eurogruppo, in procinto di perdere una metà dei suoi seggi nelle elezioni di questa settimana. Insomma tutta gente che la sinistra l'ha data via e con grande soddisfazione. Se non fosse che poi i votanti di sinistra, o se ne stanno a casa in gran dispitto, o scelgono l'unica opposizione alla destra che gli sembra vera: quella ancora più a destra. Per cui se lavorando con tutte le loro forze ci hanno messo un quarto di secolo a distruggerla, la sinistra, quanto ci metteranno, secondo voi, a ricostruirla?

martedì 7 marzo 2017

Caccia grossa

Vorrei farvi vedere l'elefante. Frase ambigua dato che nel gergo americano indica la prima esperienza di combattimento. In questo caso però e l'elefante di Branko Milanovic, l'economista. Il grafico che vedete, la cui linea assomiglia appunto al groppone di un pachiderma e alla sua proboscide che scende verso il suolo e poi si alza, indica di quanto siano aumentati i redditi su scala mondiale a seconda della propria collocazione di partenza negli anni della globalizzazione e prima della grande crisi economica. E, insomma, il grafico di chi ha vinto e chi ha perso in quei vent'anni. Ci dice molto di noi perché il groppone che sale è quello dei poveri del terzo mondo che hanno agganciato la crescita. Cina e India su tutti che vedono la propria percentuale della torta salire fin quasi al raddoppio. È il grande dividendo della globalizzazione, quella cosa che tutti i suoi difensori mettono sul tavolo per spazzare via come briciole di non senso il rigurgito di protezionismo e di nazionalismo di questi ultimi anni. E difatti nell'ultimo meeting di Davos il più risoluto difensore della globalizzazione capitalistica è stato il presidente della Cina comunista che è issato su quel groppone. Ma c'è anche la proboscide e quella siamo noi, siete voi: i ceti medi, medio-alti dell'Occidente operai compresi perché, ricordiamo, che in termini di reddito a disposizione è ovviamente meglio essere relativamente poveri in Italia che relativamente ricchi in India. Per loro, per noi vent'anni di stagnazione assoluta anche di regressione. Attenzione! Prima della crisi. Prima, cioè, di aver perso il lavoro, di essere finiti in un part-time, di avere rinunciato ad articolo 18, di essere stati esodati. Come sappiamo nei 10 anni successivi la proboscide si è messa a scavare come una matta. Poi laggiù sulla destra vedete che i ricchi, quelli veri, hanno aumentato la loro ricchezza del 60% e di più ancora dopo la crisi perché, come ci dicono gli studi, l'uno per cento si è accaparrato tutta la crescita. Eccoli Trump, la Brexit, la Le Pen, i 5 Stelle, podemos, perfino Schulz stanno in quella voragine, nella carneficina di cui ha parlato Trump nel suo discorso inaugurale. Perché quel buco non è tollerabile. E quel buco ci dice che solo due soluzioni sono possibili. Colpire a sinistra, chiudere le porte di una vita dignitosa al cinese in patria o all'emigrante africano sul barcone. Livellare la gobba facendo rifluire quella ricchezza, come in un vaso comunicante paradossale, di nuovo qui. Restituendoci il sorriso sulla pelle dei poveracci come accaduto con la prima globalizzazione, quella coloniale. Oppure colpire a destra quella candela sempre più sottile e sempre più alta. La destra la sua ricetta l'ha messa in tavola. La sinistra, invece, continua a pastrugnare tra i piccoli privilegi e le poche tutele ancora rimaste in quel buco, condannandosi all'inutilità.

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giovedì 2 marzo 2017

Romeo sei tu Romeo

L’ho scritto e detto tante volte. A me della corruzione importa poco o nulla. Non è questione politica. Se ne occupano i magistrati quando la prescrizione, unica vera riforma da fare e quindi mai fatta, non glielo impedisce. Quindi poco mi interessano i Romeo della Raggi o quelli di Renzi. E poco il Verdini del Credito Cooperativo. Mi interessano le politiche della Raggi (lo stadio) e quelle di Renzi e Verdini (gli ultimi tre anni di governo). Ma purtroppo i colleghi non sono tutti come me e quindi quando trovano il politico col sorcio della tangente in bocca gli scatta l’eccitazione. Ma che sto dicendo? Chi sto prendendo in giro? Voi vi immaginate Di Maio condannato in primo grado a 9 anni oppure il papà di Grillo coinvolto nello scandalo Consip? Ve li immaginate gli editoriali, le correlazioni, la canea populista contro i populisti. Dozzine di pagine. Le penne all’arrabbiata dei tanti Merlo. Ecco in che mani vi siete o vi state per mettere! Invece no. Nonostante le sue politiche, anzi proprio per le sue politiche, il Torquemada cui viene affidato Renzi è il molliccio sosia di Assad. E tutti a scrivere che non ci si può scindere da un partito governato da quello lì e alleato con quell’altro perché si fa un favore alle destre e al populismo. Senza vergognarsi neppure un po’.

lunedì 20 febbraio 2017

La second line

E pensare che, invece, è così semplice. Attorno all’agonia del PD colleghi e intellettuali hanno mobilitato le loro penne per descriverne coloritamente e dettagliatamente gli spasmi o per interrogarsi sgomenti sui sintomi, definiti incomprensibili, di questa cachessia. E invece basterebbe sollevare lo sguardo dal capezzale del malato per accorgersi di essere in una corsia ospedaliera popolata di pazienti affetti dalla stessa malattia, alcuni ancora apparentemente in grado di lottare per la vita, altri col lenzuolo della pietà che ne copre il viso. Il partito democratico era una creatura fragile e malaticcia fin dalla nascita. Che doveva segnare, anche da noi, la definitiva trasformazione della sinistra in quel modesto collegio di sindaci e probiviri della globalizzazione neoliberista che è stata la socialdemocrazia degli ultimi trent’anni. Ma come spesso accade noi italiani siamo arrivati fuori tempo massimo. Il partito un po’ come il Federale, Primo Arcovazzi, immortalato dal film di Salce è clamorosamente fuori tempo. Mentre gli aderenti si affollano ai gazebi originali, in Inghilterra i risparmiatori si affollano agli sportelli della Northern Rock per il primo episodio di fallimento bancario, che poi tappa dopo tappa porterà al collasso del 2008. Vestiti da pifferai e trombonisti dell’economia del turbocapitalismo, dietro a Giorgio Napolitano con la mazza, i partecipanti non si resero conto di star suonando in realtà ad un funerale di New Orleans. E non se ne rendono conto, praticamente, fino al devastante, per loro, esito, del referendum che avrebbe dovuto, appunto, sancire la trasformazione della Costituzione in un patto parasociale scritto dalle banche d’affari. Anzi molti, la maggioranza di loro e anche dei loro elettori, è tutt’oggi convinta di essere di sinistra anzi di essere la sola sinistra possibile. Poco conta che in quella corsia di ospedale siano morti i socialisti greci, che quelli francesi siano ridotti a larve, che quelli spagnoli, tedeschi, austriaci, olandesi siano da tempo ridotti a donatori di sangue per governi di centrodestra. Poco conta che loro stessi abbiano vissuto tutti questi dieci anni o suonati da tremende sconfitte elettorali ( che meraviglia, a proposito di fake news, le due righe dedicate da Repubblica nella sua storia del partito alla batosta del 2008 per poi passare, enfatici e senza un plissé, ai 2 milioni e mezzo del Circo Massimo) oppure impegnati in governi con il vecchio nemico assoluto. Loro e i loro cantori incapaci di capire la relazione tra i due titoli affiancati della prima pagina della Stampa. Quello sulla scissione 5 colonne e una sola al secondo: la Grecia di nuovo al collasso, salvataggi falliti. Basta capire questo e tutto diventa così semplice.

giovedì 16 febbraio 2017

Il conto, per favore

Chissà se ve la ricordate quella pubblicità elettorale di Rifondazione, anche i ricchi piangano. Sullo sfondo un panfilone bianco alla fonda. Era per le elezioni del 2006. Fu massacrata dalla stampa progressista. Così fate fuggire i moderati, ed altre amenità del genere. Credo la dovettero perfino ritirare. Tanto per curiosità sono andato sul primo sito dedicato ai megayacht. In giro per il mondo ci sono 43 barche da più di 100 metri di lunghezza, come si dice un campo di calcio. Più grandi, quindi del famoso Christina, nave mito di Onassis e Jaqueline. 26 di questi sono stati costruiti dopo quella data. 12 dei 20 più grandi dopo l’inizio della grande crisi del 2008, 14 se si contano anche quelli varati nell’anno della Lehman Brothers. I ricchi non hanno pianto. Per questo ho trovato non solo deprimente ma anche un po’ offensivo il manifesto del campo progressista di Pisapia. Qualche decina di righe di buoni sentimenti, tra il Bacio Perugina e il discorso di Veltroni. La Buona politica, la nuova speranza,l’agenda politica. Mezza riga scarsa sulla redistribuzione. Non andranno da nessuna parte. Nessuno andrà da nessuna parte finchè qualcuno non avrà il coraggio di fare la domanda che andrebbe fatta prima, ma al dessert è d’obbligo, chi paga il conto? Chi mette mano al portafoglio? Chi ha messo mano al portafoglio fin qui, lo sappiamo. Quel portafoglio è vuoto, comunque non basta più. Ve lo hanno detto ieri per l’INPS, tanto per prepararvi ad un’altra limata delle prestazioni. Qualcuno pensa di sfuggire alla domanda. Qualcuno si rassegna all’idea che andrà in cucina a lavare piatti fino ad estinzione del debito, oggi ho letto che oltre un milione di americani non riesce a pagare le rate dell’auto, di nuovo come nel 2009. E badate la risposta non è, ad esempio, il reddito di cittadinanza; quella, se non immaginiamo che vada a sostituire altre prestazioni, è una delle portate. Perchè se va a sostituire, campa cavallo. Un ciclo dei nuovi chemioterapici, che adesso paga lo stato, costa sui 50mila euro, hai voglia a pagartelo da solo con il reddito di cittadinanza. Quindi anche qui la domanda torna, chi paga il conto? E come fai a farlo pagare a chi di dovere se a lui basta un clic per far sparire i soldi? Chiedete a Hollande e Depardieu come è finita la storia delle tasse al 75%. E allora in questo tempo di muri, davvero pensate che proporre alla gente di costruirne uno, dieci, cento virtuali e virtuosi per impedire che i capitali bianchi e neri fuggano dai paesi di appartenenza verso paradisi leciti o illeciti cadrebbe nel vuoto? Non sarebbe declinare a sinistra quel bisogno di protezione di cui parla Bersani? Ma io a sinistra la domanda chi paga non la sento fare, il massimo cui si spingono è un facciamo alla romana. Non basta, non basta.

mercoledì 15 febbraio 2017

La costa sottovento

L’articolo di Ezio Mauro, il PD e la talpa dell’ultradestra, è davvero molto bello. Però è completamente sbagliato. Sbagliato in un modo surrealista, magrittiano. Non è una pipa è l’immagine di una pipa. Manca completamente quel elemento di autocoscienza che è affiorato bizzarramente in Trump con la famosa frase, ma questo paese è davvero così innocente. Ma davvero Mauro pensa che la sinistra sia così innocente? Che si sia solo lasciata scarrocciare dal vento al traverso e che non abbia invece risolutamente virato per prendere quel vento se non in poppa almeno al gran lasco? E davvero pensa che oggi debba solo, appena, stringere un pochino su quella bolina stanca che lui definisce così: “il futuro possibile per la sinistra, in questa fase, sta probabilmente proprio nella capacità di coniugare la responsabilità con le opportunità residue di emancipazione e di futuro, che pure esistono anche in una congiuntura così sfavorevole”. Opportunità residue? Ma come residue? Qui Mauro perde completamente la rotta. Su di lui cala la nebbia. Parla degli anni dieci di questo secolo come se fossero altro, e diverso, dagli anni novanta e dagli anni ottanta di quell’altro. Ma come si fa, trent’anni dopo Craxi, vent’anni dopo Blair, dopo i 5 anni di Hollande a chiedersi sgomenti “E’ quasi che una sovrastruttura di pensiero avesse uniformato e appiattito le grandi culture politiche europee spegnendo i loro caratteri distintivi fino a renderle apparentemente indistinguibili” Apparentemente? Come apparentemente? In cosa, di grazia e in concreto si distinguono? No, vi prego, l’obiezione relativa ai diritti civili, alla tutela delle minoranze, non me la fate. Non oggi. Pensate a Pim Fortuyn e a Wilders. Non mi dite se il coltello va a destra o a sinistra di un piatto vuoto, perchè così spalanchiamo la porta a chi, come un Trimalcione, si ingozza davvero solo con le mani. Per la sinistra, caro Mauro, c’è solo la rotta di Bulkington descritta da Melville. Gli lascio la parola “La sua sorte fu quella di una nave sbattuta dalla tempesta, che vaga miseramente lungo una costa a sottovento. Il porto le darebbe riparo, il porto è misericordioso, nel porto c'è salvezza, comodità, un focolare, una cena, del coperte calde, degli amici, tutto ciò che è gradito a noi poveri mortali. Ma in una tempesta, il porto, la terra è il pericolo più terribile per una nave. Essa deve fuggire ogni ospitalità; un solo contatto della terra, anche solo una carezza alla chiglia, la farebbe rabbrividire da cima a fondo. Con tutte le sue forze, la nave spiega ogni vela, per scostarsi dal porto. E nel farlo, combatte proprio quei venti che la vorrebbero spingere verso casa, va cercando di nuovo tutta la mancanza di terra di quel mare infuriato. Si getta nel pericolo disperatamente, per amore di un riparo. E il suo unico amico è il suo nemico più feroce. Tu lo capisci, Bulkington? Pare che tu veda qualche barlume di quella verità insopportabile agli uomini, che ogni pensiero profondo e serio non è che uno sforzo coraggioso dell'anima per tenersi la libertà aperta del suo mare; mentre i venti più aspri della terra cospirano per gettarla sulla costa insidiosa e servile. Ma la verità più alta, senza rive, indicibile come Dio, è soltanto nell’assenza della terra. Coraggio, Bulkington, coraggio! Stringi i denti, semidio. Dalle sferzate d'acqua della tua morte nell'oceano, si scaglia in alto, a perpendicolo, la tua deificazione

martedì 14 febbraio 2017

Quelli del Nazaré

Nella difficile scelta tra stare zitto dando l’impressione di poter essere un cretino e parlare dandone invece la certezza, il facente funzioni di presidente del consiglio, fin qui, aveva saggiamente optato per il primo caso. Finchè anche lui non si è trovato sotto mano dei dati economici e non ha resistito. La miracolosa crescita allo 0,9%, un sontuoso 0,1 più del previsto, e al facente funzioni è partita la dichiarazione. Sono dati incoraggianti, avanti con le riforme. Pover’uomo. Sa di stare lì, affetto dalla terribile sindrome “Stai sereno”. Con il matto alle spalle che sputazza sui suoi stessi ministri e sulle politiche che lui stesso ha scritto fino all’Immacolata e che farnetica di un paese in cui non si parla più di futuro. Invece se ne parla. Tanto è vero che la Commissione prevede per noi la crescita più bassa tra tutti quelli dell’Unione. E’ futuro anche questo, purtroppo. Quello di cui non si parla è il presente o il passato, dal prossimo al remoto. L’unico che ci prova, ed abbiamo detto tutto, é Bersani, che ha finalmente lasciato il tacchino sul tetto per accorgersi della mucca nel corridoio. Cioè del fatto che il 37% dei lavoratori dipendenti francesi voterà tra poco per la Le Pen, tanti quanti ne mettono insieme il socialista Hamon e il post comunista Melenchon. Ora Bersani non arriva a dire nè, purtroppo, a capire che questo “è” il frutto avvelenato delle politiche della sinistra dagli anni novanta fino ad oggi, ma almeno arriva a capire che non si può provare ad opporsi a questa onda con quegli stessi strumenti. Gli altri in quel partito, come dimostra il flatus vocis del facente funzioni, sono ancora convinti di essere a cavallo dello spirito dei tempi, decisi a surfare l’onda come nel finale del Point Break originale.

domenica 5 febbraio 2017

Trumpaciov

Perchè? il nostro paese è così innocente? E allora io inizio a pensare a Gorbaciov. Quando ho letto questa frase di Trump, in risposta all’obiezione di un giornalista della Fox, ma Putin è un assassino, ho fatto un salto. Ovviamente farete fatica a trovarla sui nostri giornali, tranne che sul Fatto, altrove è sepolta sotto titoloni sullo stop ai migranti, cioè la stessa cosa che Gentiloni ha appena messo in piedi con lo pseudo governo della Libia, ma non voglio parlare di questo. Voglio dire che quella di Trump è la frase che più nella storia americana si avvicina ad una ammissione che l’Impero del Bene ha USAto, USA e USerà gli stessi strumenti dell’Impero del Male. Basta con la retorica dei cavalieri Jedi contro la Morte Nera. Per difenderci dal comunismo, e adesso dall’Islam radicale, anche Joda e Obi wan Kenobi hanno ammazzato ragazzini a pacchi, come fossero un qualunque Anakin Skywalker. Finalmente! Basta con la retorica del quello è un bastardo, ma almeno è il nostro bastardo. L’invasione dell’Iraq ha le stesse giustificazioni legali e propagandistiche di quella della Polonia. I leader uccisi direttamente, indirettamente, con caldo consiglio o istigazione, le democrazie rovesciate e torturate valgono come la Cecoslovacchia o l’Ungheria. Il libro nero dell’atlantismo. Naturalmente per le ironie della storia siccome a dirlo è un fascista, o un quasi fascista, le sinistre per bene partite marciando contro la Nato adesso sono pronte all’arruolamento nei marines. Semper fidelis, right or wrong, my country. Esilarante, quanto squallido. Ma torniamo a Gorbaciov. Anche l‘ultimo comunista andò al potere pensando di poter modificare dall’interno il sistema che sapeva marcio e pericolante. E invece il suo tentativo non fece che accelerare il disfacimento dell’Impero, proprio perchè un edificio marcio non si consolida tinteggiando la facciata con pennellate di glasnost e perestrojka. Oggi e qui, partendo da questa frase di Trump si disvela quello che tutte le articolesse sul 45 presidente evitano con accuratezza di affrontare. I nostri paesi sono così innocenti?I nostri sistemi sono così innocenti? Le nostre economie sono così innocenti? Come Gorbaciov disvelò al di là del muro l’impossibilità di riformare l’Impero, così oggi Trump disvela la controriforma di questo Impero, la rottura di ogni patto sociale. Come Gorbaciov era convintamente comunista, così Trump è convintamente capitalista. Ma la domanda è uscita dal vaso di Pandora. Siamo così innocenti?