mercoledì 22 novembre 2017

Annuncio funebre.

Ed infatti, eccoci qui. Al momento della scelta, la scelta è fatta. Tra Di Maio e Berlusconi scelgo Berlusconi. E’ l’undicesima risposta, quella che rinnega trent’anni di lavoro e si autoconsegna alla inutilità di un’esistenza. Perchè ovviamente Scalfari sa chi è Berlusconi e con chi si accompagna. Sa che, per quanto di destra, ignorante, pressappochista, dilettantesco ( in pieno accordo con la definizione deluchiana di “sfaccendato”) possa essere Gigino Di Maio, non è un pregiudicato interdetto dai pubblici uffici, non ha il principale ideologo del suo movimento in galera per associazione mafiosa, non ha il suo migliore avvocato radiato e in galera per aver corrotto i giudici che cercarono di sfilargli da sotto il culo il suo gruppo editoriale. Sa che per quanto economicamente ignorante e dilettantesco il movimento 5stelle non porta la responsabilità della grande crisi del 2011 ( almeno secondo la vulgata di Repubblica essa sarebbe di Berlusconi). Sa che con Di Maio non corrono e quindi non non salirebbero al governo Salvini e Meloni. Però al momento della scelta, che ad esempio si è dovuta fare in Sicilia o ad Ostia, il Fondatore sceglie Berlusconi. Certo lui non lo voterà. Inseguirà ancora la chimera del PD, così come io inseguirò ancora la chimera di chi chiede il ritorno della revoca di un licenziamento illegale e non della sua monetizzazione. Poi, però, in un giorno qualunque della prossima primavera, fatto lo spoglio e verificato il presumibile stallo, toccherà dire chi dovrà formare il governo. E ancora una volta, come con il tanto rimpianto duo Letta Napolitano, la canzone sarà quella delle larghe intese da Arcore al Nazareno. Mi tocca riproporre la frase usata, per ricordarlo, nel secondo anniversario della morte di mio padre. Vivo, moriresti di rabbia.

martedì 7 novembre 2017

L'argine

"No poverello, soffrì nun soffre". Le due donne camminano in riva al mare subito dopo la dissolvenza che ha lasciato Vittorio Gassman al tappeto bofonchiare "so’ contento". "Io me lo magno" le ultime parole pronunciate prima di alzarsi dall’angolo da cui Tognazzi gli dice buttati che siamo alla seconda ripresa. Paragone irresistibile con il fu Matteo Renzi, che dalla metaforica carrozzella continua a bofonchiare me lo magno, mettendo insieme, come il suonato che è, il 40% della vittoria alle Europee e il 40% della trombata al referendum. Non soffre. Ai cazzotti che fanno male ha fatto l’abitudine dopo quell’euforia ingannatrice della notte europea. Torino, Genova, Roma, la Liguria la Sicilia, Livorno, L'Aquila, Piacenza, Asti, in un compatto moto di ripulsa che, a differenza di quanto accadeva con Berlusconi, odiatissimo da noi ma amatissimo dai suoi elettori, non si realizza con l’aumento dei nemici ma con la fuga disgustata degli amici che corrono a bruciare le tessere elettorali, manco fossero le cartoline precetto per il Vietnam. A parte la pietà umana, che Renzi vada al tappeto e con lui il partito democratico, questo ippogrifo irreale e mal disegnato, a me va benissimo. Cioè mi andrebbe benissimo se ci fosse qualcuno che, sia pure per il cinico calcolo di vincere la borsa dell’incontro, dicesse buttati giù, è un incontro farsa, una truffa per gli spettatori. E invece niente, mentre il sangue riga la faccia pesta sono tutti lì a ragionare sul jab, sulla guardia, il gioco di gambe. Che sarebbe il mettiamoci Minniti o Gentiloni o Franceschini o Pisapia o Grasso alla guida del tritacarne che ha inghiottito la sinistra italiana. Ancora con la stessa idea che il compito principale della sinistra sia quello di opporsi al populismo dei 5 stelle, il famoso argine. Solo che, a furia di fare la guardia all’argine di sinistra, nessuno si è accorto che l’acqua stava salendo pure su quello di destra. E che il corso del fiume a valle diventava sotterraneo e non c’era più nessun argine, solo il mesto arrancare delle acque nel sottosuolo come il Seveso o i torrenti interrati di Genova. Solo così si spiega il delirio di una legge elettorale che è stata fatta contro Di Maio e per obbligare Berlusconi ad un appoggio da vassallo e che ormai è quasi certo darà la vittoria parziale al centrodestra pure nel resto d’Italia, non solo tra gli impresentabili della Sicilia, e ridurrebbe il Pd all’ Alfano della prossima legislatura. Solo così si possono ancora sommare i pochi voti di Fava e di Micari sognando il 40, mentre il risultato da 25. Solo così si può ignorare che i voti di Fava insieme e a quelli di Cancelleri avrebbero evitato il ritorno della Sicilia tra le fauci del Caimano. E se a Ostia Casa Pound e il clan degli Spada aggiungeranno il loro peso ai fascisti in doppio petto, solo i voti del Pd potrebbero fermare la Suburra scegliendo i 5 stelle, ma ovviamente no, la piccola vedetta sull’argine ha già detto che non ci si schiera. Discorso logico, legittimo perfino quando all’angolo tra paradenti insalivato e qualche passata di spugna si pensava di essere primi o al massimo secondi lì lì. Ma se si finisce terzi? E la retorica del voto utile? E le pippe sul second best? E la scomunica a Melenchon perchè non si schierava tra Le Pen e Macron? Sempre lì a raccontarsi che “ In tutto l'Occidente, la divisione classica è tra la sinistra di governo, riformista, e quella di opposizione, radicale” Ancora? Dopo Corbyn? E ancora con la sinistra riformista italiana? Quale ? Quella dell’articolo 18, della Fornero? Dell’alternanza scuola lavoro? Di Poletti. IO soffro, eccome se soffro!