martedì 25 aprile 2017

L'ultimo spettacolo

Ormai la direzione di marcia, forse non l'approdo, ma ci credo poco, è chiaro. La grande crisi dell'economia neoliberista e delle sue strutture di potere e comando si concluderà con un feroce spostamento a destra degli equilibri politici, senza che questo spostamento a destra si spinga abbastanza in là da creare uno squilibrio decisivo. Nel contempo la vecchia sinistra che si è compromessa con il sistema, avendo archiviato l'idea di controllarlo, pur di mantenere le sue posizioni di potere esce annientata per sempre. Elezione dopo elezione i dati si confermano i vecchi partiti socialisti, pur partendo spesso da posizioni di governo, precipitano verso, o direttamente, a percentuali a una cifra eppure non appena subita la batosta e mentre proclamano a gran voce di aver “capito” la lezione si precipitano a confermare tutte le politiche che li hanno portati lì, tipo il votate Macron al secondo turno, denunciando in questo modo la loro completa estraneità al mondo che li circonda. Quelli che non solo hanno “capito” ma ci hanno “pensato su”, diciamo la sinistra da Melenchon a Massimo D'Alema, passando da Tsipras e Corbyn, pensano di poter affrontare tempi di ferro con la stessa morbidezza con cui si avvolsero nei velluti della inesistente terza via. Non hanno il coraggio di affondare le mani nella merda e nel sangue della politica, secondo la vecchia formula di Rino Formica. E oggi la merda e il sangue sono le pulsioni identitarie, i razzismi, gli sciovinismi, i nazionalismi, i protezionismi,le xenofobie risorgenti. Questo no strillano, come demi vierge scandalizzate. E poi, ovviamente fanno il decreto Minniti ma nulla che possa turbare i mercati. E certo che no, certo che no. Ma le risposte! Non le domande! Non la domanda che chiede, disperata, protezione, aiuto, sicurezza. E' tempo di esercitare da sinistra la stessa spregiudicatezza che viene esercitata da destra. Non si può dire voglio un articolo 17 e mezzo, si deve dire voglio il 18 e mezzo. Perchè se no, ormai è chiaro, elezione dopo elezione la scelta reale che viene lasciata agli elettori è tra una destra ferocemente liberale, finanziaria, individualista ed una destra ancora più destra, verso l'infinito e oltre, Tra Trump e Clinton, tra i conservatori e l'Ukip, tra Wilders e Rutte, tra Macron e la Le Pen. Tra Renzi e Berlusconi. E gli elettori dimostrano di essere abbastanza disperati da affidarsi sempre di più alla destra che più destra non si può. Qualche volta vince: in America, al referendum inglese, qualche volta perde: in Olanda, in Austria verosimilmente in Francia, ma sempre dopo aver imposto uno spostamento dell'equilibrio impressionante. Sarebbero abbastanza disperati da affidarsi a una sinistra che fosse tale, che proponesse, credibilmente, soluzioni altrettanto drastiche ma opposte, che fosse pronta a infilare le sue mani nel calderone rovente a rischio di scottarsi? A parte Minniti o la Boschi, cosa avete da perdere nel provarci?

mercoledì 19 aprile 2017

La pillola rossa

Questo me lo hanno strappato dalle mani. Stavo leggendo l'ennesimo articolo sulle diseguaglianze e mi sono arenato sull'ennesima ripetizione della frase “ che hanno portato alla nascita dei populismi”. Ecco, signori, no. Non è questo che ha portato alla nascita dei populismi, qualunque cosa questa parola esprima a seconda delle diverse situazioni. Non sono le ineguaglianze. E' la scomparsa delle alternative non populiste per, non dico risolverle, ma affrontarle. Il populismo non è solo una reazione “antiscientifica” come, ad esempio, la mania anti vaccini che ci circonda. Non è solo un ritorno a credenze magico irrazionali, come l'affidarsi a un dio di fronte al fallimento inevitabile di una soluzione scientifica ad un problema di salute. E' anche il ricorso ad una medicina sapienziale, alternativa, prechimica, quando ti viene impedito l'accesso alle normali medicine che in parte funzionavano (anche se poi, alla fine, si muore comunque). Per quasi mezzo secolo si è lavorato, quasi esclusivamente, ad eliminare queste medicine, a stroncare ogni esperimento, a cancellare ogni prescrizione del farmaco anche in piccole dosi, partendo dall'assunto che se prendi 20 grammi di aspirina muori e quindi se ne prendi uno muori uguale. Gli esperimenti sono stati fatti finire coi carri armati dove si poteva(in Cile) con i mezzi della finanza dove non si poteva (nella Francia di Mitterand) con la moltiplicazione della minaccia nucleare quando serviva (nell'Urss di Gorbaciov) con lo snaturamento e la mutazione genetica di partiti e sindacati (ovunque). Tutto e sempre per cancellare chiunque e qualunque cosa volesse mettere in discussione i concetti di profitto e proprietà dei mezzi di produzione e parlare di redistribuzione e stato imprenditore. Può essere che fosse giusto così. Può essere, anzi è stato dimostrato, che la medicina nelle dosi prescritte dai sacri testi fosse talmente tossica e con tanti effetti collaterali negativi da far preferire la malattia. Ma ecco, sia chiaro, l'acqua che è stata buttata con il bambino dentro non era la malattia, era “una” cura. La malattia, di cui l'ineguaglianza è solo un sintomo, gli altri sono lo svuotamento della democrazia e la crisi climatica, è stata lasciata libera di espandersi. Dopodichè che i malati si affidino agli stregoni, a quelli che predicano l'odio per il diverso da Parigi a Istanbul, da Washington a Tora Bora, che si affidino a risposte così bizzarre e maleducate, signora mia, è solo una conseguenza. Ci rimpiangerete.

lunedì 17 aprile 2017

La presa della pastiglia; blu

E' una rivoluzione. No , maestà, è una rivolta. Ho intenzionalmente rovesciato il dialogo tra Luigi sedicesimo e il duca di Liancourt alla presa della Bastiglia. Siamo a una settimana dal primo turno delle presidenziali francesi, ad un paio dalla clamorosa capitolazione di Donald Trump di fronte all'offensiva congiunta dello stato profondo e dell'intellighenzia democratica. Una tenaglia irresistibile che ci consegnerà il peggio di due mondi, l'imperialismo militare dei neocon clintoniani e l'arretramento alt right sui diritti civili garantito dal nuovo giudice costituzionale, l'avventurismo del dilettante e il medioevo antiscientifico che ci porterà alla catastrofe climatica. Ma nella capitale dell'impero non sono consentite deviazioni, improvvisazioni. Siano i no global degli anni di Bill, quelli di Occupy Wall street degli anni di Obama, figuriamoci l'eresia isolazionista di Bannon. Il sospiro di soddisfazione di chi pensa di aver vinto la battaglia per impedire la deriva antidemocratica si mischia alla risata sommessa delle sigle davvero vincenti FBI, CIA, NATO. Il rintocco della Liberty Bell americana è quindi stato fesso, come sempre nella storia del meraviglioso paese, durato quelle poche settimane, come tra la fine della sua apartheid e la guerra in Vietnam Quella americana si è quindi dimostrata una rivolta. Possono essere terribili, sanguinose, lunghe, ma le rivolte sono sempre domate, si spengono sempre. Perchè in fondo le rivolte mirano sempre al ripristino, al ritorno di una età dell'oro. Non sono rivoluzioni che condannano l'esistente e il preesistente in nome di un futuro diverso, se non migliore. Infatti di rivoluzioni ne abbiamo avute due in 228 anni. Il repentino tracollo della rivolta trumpiana fa scalpore, però, solo per la rapidità. Il fallimento di una ricetta nata all'interno della stessa logica che ha originato la malattia non poteva e non può essere una sorpresa. La miopia di una sinistra che di fronte all'insorgere dei populismi, invece di sfidarli spostando l'attenzione dei disperati verso i veri bersagli, si è trincerata nella difesa dell'ordine esistente come minore dei mali adesso la costringerà a battere le manine ad ogni lancio di tomahawk. Invece di cogliere l'occasione di mostrare al mondo la crepa creata dalla contraddizione di sistema, tutti i cervelli si sono muniti della cazzuola per spalmare il cemento della mancanza di alternative. Di fatto dichiarando la propria totale inutilità. Adesso normalizzato Trump, basta attendere l'ultimo tornante. Tra tre settimane il ballotaggio francese. L'ultimo rischio di andare davvero fuori strada. Di vedere davvero la contraddizione che spacca l'edificio. Poi la grande occasione della crisi sistemica sarà andata perduta. Lenin sarà rimasto a giocare a scacchi in riva al lago, Robespierre continuerà a fare l'avvocato ad Arras. Ci daremo appuntamento alla crisi climatica, quando arriverà. Chi sarà così sfortunato da esser vivo a quel tempo.

venerdì 7 aprile 2017

Arcobalenghi

La pallina impazzita del flipper preannuncia il tilt. Pietroburgo,Idlib, Al Shayrat e Stoccolma. Noi, loro, il nemico del mio nemico, l’amico del nemico del mio nemico, mentre pezzi di esseri umani frullano nell’aria. Noi possiamo fare poco, ma non stiamo facendo niente. Quindici anni fa, tre volte la durata della prima guerra mondiale, più del doppio della seconda, sul tavolo c’era figurativamente la testa di un altro osceno dittatore, sterminatore del suo popolo, utilizzatore di armi chimiche. Eppure mentre Bush si apprestava a fare salsicce halal di una nazione, milioni di uomini e donne sfilavano avvolti nelle bandiere arcobaleno, arcobaleni che pendevano quasi allegri dalle finestre di una casa su due. I giornali come sempre clamorosamente incapaci di leggere il presente parlavano addirittura di nascita di una superpotenza, l’opinione pubblica. C’era un papa che fulminava condanne ai guerrafondai, c’erano paesi dotati di storia e memoria, guidati da gollisti o socialdemocratici, che dicevano di no, a rischio di vedersi boicottate le patatine fritte. C’era gente che pensava al fare e alle sue conseguenze, che pesava anche sulla bilancia traboccante del torto, il torto minimo di perseguire un paese e un uomo proprio per l’unica cosa che non avevano fatto, per l’unica minaccia che non costituivano. Sapendo che la perquisizione illegale, in uno stato di diritto, annulla il valore della prova ritrovata. Su tutto questo, certo, si è spalmata la marmellata dell’abitudine. E poi la banalità del bene. L’elegante, distinto, charmant ex inquilino della Casa Bianca. Davvero uno tutto chiacchiere e distintivo. Per cui oggi si può scrivere, temo credendoci davvero, che i tomahawk di stanotte sono un cambio dalla politica di Obama che usava “solo” i droni. Detto così pensi al giocattolino che fa le foto aeree al matrimonio non a una bestia da undici metri, che ti spara nel piloro un Hellfire o una Paveway con una testata più grossa del Cruise. E infatti nessuno sfila. Tutti si sfilano. Una bandierina, non tutte, sul profilo, la fotografia di un monumento colorato, non tutti, un segno di spunta sui posti da vacanza o weekend da evitare per i paurosi, o da sfruttare per un bel ribasso dell’albergo. E l’orrendo cialtrone criptofascista, il dilettante allo sbaraglio, l’anomalia repugnante, l’uomo di paglia del Cremlino, quello che deve cadere per salvare la scintillante democrazia con un impeachment, quale che sia la motivazione, quando attacca senza prove un paese senza dichiarargli guerra, op! torna ad essere il gendarme del mondo e noi, a Stoccolma solo per mezza giornata, ci sentiamo tutti contenti perchè il business è as usual. Arcobalenghi.

mercoledì 5 aprile 2017

La linea d'ombra

L’ho detto e lo ripeto. Io la storia della Russia non la capisco. E siccome non la capisco tendo a pensare che dietro ci sia altro. Ma forse mi devo rassegnare, come mi capitò quando studiavo la storia della Riforma protestante. Lì davvero si scannavano perchè uno credeva che Gesù Cristo fosse già nel pane prima della consacrazione e un altro invece che ci entrasse solo dopo. Poi ovviamente qualche principe se ne approfittava per ridisegnare i confini. Ma era vero. E quindi forse è vero che la Russia è oggi il principale problema del mondo. E che l’influenza che Mosca può avere sull’attuale imperatore d’occidente sia il terreno di scontro reale. La Russia di oggi. Da sfidare. Forse da travolgere militarmente. Tra Navalny e una bomba a Pietroburgo, tra una isteria mediatica, che manco ai tempi dei Rosenberg, e la ricerca del casus belli in Siria. La Russia che starebbe dietro, rubli alla mano, a tutti i populismi, come stava dietro a tutti i comunismi. Una guerra che noi, be insomma noi, combattiamo a suon di rivoluzioni arancioni e loro soffiando sui fuochi lepenisti o grillini, dopo aver centrato il bingo del Manchurian candidate alla Casa Bianca. Cui adesso l’idiozia di Assad, se vogliamo crederlo un idiota che nei giorni pari è al guinzaglio dei russi e in quelli dispari fa quello che gli pare, offre su un piatto d’argento l’esca avvelenata del gas. Riportandolo esattamente lì dove stava Obama nel 2013. Sull’orlo del confronto militare. I precedenti non sono esaltanti, dal golfo del Tonchino alle armi di distruzione di massa di Saddam, fino, appunto alla strage del 2013. Di cui, se vogliamo essere generosi, possiamo dire che non sappiamo chi la eseguì, anche se è praticamente certo che fu appunto il tentativo di dare un pretesto all’intervento. Ma oggi un Trump salito al potere anche per rovesciare la politica del duo Obama Clinton, si ritrova incitato dai soliti noti, tipo Hollande, a dover considerare cosa fare esattamente nella stessa direzione di marcia. I gas di Assad, ufficialmente distrutti sotto controllo Onu, con annesso nobel per la pace agli smantellatori dell’arsenale, mai usati mentre i tagliagole gli circondavano il palazzo e usati adesso, nel giorno alterno dell’idiota, mentre tutti ormai si erano rassegnati a lasciarlo a Damasco. Lo dico e lo ripeto. Io questa storia non la capisco. Ma inizio a credere che sia la vera storia.