mercoledì 7 marzo 2018

Buscar el levante por el ponente

Allora come è possibile che Scalfari ed io si concordi sull’ipotesi di un’alleanza tra centrosinistra residuale e 5stelle come unica soluzione politicamente non solo possibile nei numeri ma in assoluto auspicabile? Il mio vecchio maestro parte da posizioni assolutamente opposte. Era meno di due mesi fa che definiva i 5 stelle più pericolosi con Di Maio che con Grillo, culminando poi una battaglia politico culturale contro il grillismo ormai quasi decennale con la famosa scelta a favore di Berlusconi piuttosto che piegarsi ad un voto al movimento. E, presumibilmente. Eugenio domenica ha votato per il Pd. E’ solo la repentina conversione dei carrieristi? Certo non nel suo caso. Secondo me è l’analisi a caldo della disfatta renziana. E’ una ridotta su cui non vale più la pena spendersi. Per il Fondatore infatti il destino non dovrebbe neppure essere un’alleanza tra PD e Cinque stelle, ma una sorta di vera e propria fusione in unico partito di centrosinistra che avrebbe la maggioranza assoluta nelle Camere e nel paese. Eugenio, di colpo, sembra prendere atto di ciò che è l’elettorato pentastellato. Il rifugium peccatorum di quei milioni di elettori di centrosinistra che si sono vaporizzati in questi dodici anni. Nel suo blog Piovono Rane, Alessandro Giglioli fa un paio di calcoli fondamentali 19 milioni di voti per l’Unione di Prodi nel 2006 10 milioni e 750mila tutto compreso per Bersani nel 2013. Nemmeno nove milioni oggi mettendoci dentro dalla Lorenzin fino a Potere al popolo. Dieci milioni di persone svanite. Guarda caso i voti che oggi hanno i 5 stelle. Certo non tutti sono finiti li. Molti sono astenuti di lungo corso. Altri sono morti, un fenomeno di cui il PD che ha il cuore del suo elettorato tra gli ultra 65enni dovrebbe contemplare. Muoiono mezzo milione di persone l’anno, le tue percentuali sono destinate fatalmente a scendere più in fretta della concorrenza. Però tanti, tantissimi, di quegli elettori adesso sono accampati, come direbbe Prodi, vicino a Di Maio. I rimasti nel Pd, oggi sbandierano l’orgoglio di partito il notinmyname. Non hanno l’agilità intellettuale di Scalfari. L’uniforme che hanno indossato fino a domenica è ancora su di loro. Ma lo sappiamo e lo sanno anche loro quanti notinmyname hanno pronunciato, vero? Con Monti, con Berlusconi con Alfano, con Lupi, con Formigoni. Però Di Maio no. Sbaglia i congiuntivi. Ora, è possibile che tanti anni di compromessi abbiano trasformato le persone che conosco in individui geneticamente più vicini alla destra che alla sinistra. Però oggi la destra è Salvini, è Macerata. Questi mesi faranno chiarezza. Se per i rimasti, Questa o quella per voi pari sono, ebbene vi si addice il Cortigiani vil razza dannata. Ma torniamo a come facendo il giro attorno a se stesso Eugenio arriva qui dove sto io. Ci arriva perchè spera che il populismo pentastellato possa essere domato, educato, annacquato dai competenti piddini. E’ la ripetizione dello schema storico con cui ha portato la cultura economica laica ed azionista all’incontro con i comunisti. Uno schema vincente ma come ha dimostrato la seconda repubblica del tutto sterile. Ma si sa cambiare schema di gioco è difficilissimo. E io? Io anche mi ripeto, fino alla noia di me stesso. La gente che soffre, quelli che non sopportano più il giogo del neo liberismo, stanno li nell’accampamento. Avranno la forza di imporre il cambiamento? Se possono averla la possono avere solo con la maggioranza nelle camere e nel paese.Solo se alle categorie dell’incazzatura grillino sapranno aggiungere quelle dell’analisi della sinistra tradizionale, i rapporti di forza e di classe, che tengano la barra dritta capendo quali sono i rischi delle loro proposte tipo il reddito di cittadinanza, di cui parleremo in futuro. Poi può finire come in Grecia. Ma può finire anche peggio

martedì 6 marzo 2018

La sera prima delle urne

Vedo un gran chiedersi, ma come ci siamo arrivati? Come è mai possibile che nel 2018 ci ritroviamo con il rischio concreto di essere governati da un condannato e da un pugno di seconde linee della xenofobia? Urge quindi un piccolo “riassunto delle puntate precedenti”. Ve lo ricordate quando siete scesi quella notte nelle strade di Roma, con le orchestrine e le bande, intasando via del Plebiscito e facendo pernacchie alla sua uscita dal Quirinale? Ecco, tutto nasce lì, in quella notte in cui si decise che voi non eravate pronti, non eravate affidabili. Non potevate votare. Perché c’era lo spread e bisognava “fare presto”, come disse il Sole 24ore, incamminandosi verso la sua crisi senza ritorno. Sarebbe bastato, in quei giorni che Draghi dicesse “whatever it takes”. Sarebbe bastato che il vegliardo del Quirinale avesse detto: l’Italia è una grande Paese, fondatore dell’Europa e terrà regolarmente le sue elezioni. Ma Draghi era lì, ce lo aveva detto per lettera insieme a Trichet, per demolire il nostro Stato sociale e le nostre garanzie sindacali. E il Presidente Emerito, fin dai carri armati a Budapest, aveva dimostrato una scarsissima fiducia nell’autodeterminazione dei popoli. Non votaste. Avemmo Monti e Fornero. La macelleria sociale messicana ci trascinò dal 100% al 133% di debito pubblico, dimostrando che la competenza dei politici può essere pari a quella di medici come Brega Massone. Votarono, loro, senza un plissé quel pareggio di bilancio in Costituzione, i soli in Europa a inserirlo in quel modo, senza darvi, ovviamente la possibilità di esprimervi in un referendum. Non si poteva disturbare il manovratore della mannaia dei tagli. Pensate, in quel tardo 2011, nei primi mesi del 2012, i 5stelle erano poco più che un neonato, quasi ininfluenti sul piano nazionale. Ma l’ossessione per lo scalpo di ciò che restava del nostro welfare, la delirante litania del “ce lo chiede l’Europa“, in pochi mesi, li trasformò nella prima forza politica del Paese, almeno nel voto nei nostri confini. Dopo le politiche ci sarebbe voluto poco. Ci toccava superare la giustificata antipatia per Crimi e Lombardi, per guardare a chi li aveva eletti, e perché. Bastava metterli alla prova, quella prova che essi chiedevano a gran voce. Eleggete Rodotà e si apriranno praterie. Con un web che ancora veniva davvero consultato, politiche davvero di sinistra avrebbero trovato strada spianata, ricordate quando la base ribaltò le idee di Grillo e Casaleggio sul tema rovente dell’immigrazione. E invece no. Meglio riammucchiarsi con Bonino, il duo di Letta e Alfano, lo sconfitto Berlusconi, ancora incredibilmente incensurato, il Magnifico Formigoni, Sandro Bondi, le nipoti di Mubarak e le igieniste dentali. E poi, una volta finalmente inserito nel casellario giudiziario, decidere che B., con sondaggi attorno al 10%, fosse, orribile a udirsi dal rottamatore del leader Massimo, l’Uomo della Costituente, come già nel ’96. E intanto, continuare la strada di Monti, senza il suo lugubre aplomb, ma tra gradassate e smargiassate. Una rana enfia di dati immaginari. Con un Paese sempre penultimo in tutte le classifiche di crescita, raccontare di un nuovo Rinascimento. E poi esplodere il 4 dicembre e far finta di nulla. Mezzo passo indietro e avanti Boschi e Lotti. E sempre, tutti, in quella compagnia di giro a tirar fuori la battuta che fa venir giù il teatro. Il nemico sono i populisti delle scie chimiche. Ripensateci: il 4 marzo non ci sarà nulla di cui sorprendersi.

50 sfumature di destra

Partendo dall’estrema destra. Abbiamo gli squadristi. Certo abbiamo approvato una legge che dovrebbe impedire all’elettricista sotto casa di esporre gagliardetti di Salò e busti del Duce, ma intanto esponiamo regolarmente in televisione Forza Pound e Casa Nuova. Poi c’è Giorgia Meloni. Che è un caso facilmente riassunto dai suoi manifesti. Lei è convinta di essere Nicole Kidman, ma basta dare un’occhiata dal vivo per capire che siamo sempre alla versione romanesca di Alessandra Mussolini. Un altro passetto e si arriva a Salvini. Lui da grande voleva essere Marine Le Pen, ma siccome è furbo, preso atto della labbrata ricevuta in Francia da chi presentava un programma rossobruno ha eliminato il rosso. Certo parla ancora dell’Euro, ma sapendo benissimo che in un governo Tajani non gli toccherà il compito di Varoufakis, andare a Bruxelles ed essere sbertulato dai tedeschi. Erediterà quindi, eventualmente, la poltrona di Minniti e riuscirà a farlo rimpiangere. Oscilleremo tra quelli con quella faccia un po’ così perché hanno visto Genova 2001 e continuano a stare in polizia, e un desiderio di High school americana, ah se l’insegnante eroe avesse avuto un kalashnikov che bel duello avremmo visto. Un altro passetto e siamo alla destra cleptocratica di Berlusconi. Difficile aggiungere qualcosa alla sua biografia, ma vedrete che ci riuscirà. Un altro ci porta al di là del crinale che in questo sventurato paese dovrebbe dividere la sinistra dalla destra. Il Pd renziano. Che ormai è totalmente un partito di destra tecnocratica. Alla Macron o alla Ciudadanos, quelli per cui il manganellatore madrileno è troppo tenero con gli elettori catalani. Vedrete che alle europee i tre andranno insieme. Del resto le liste sono già infarcite di nomenklatura del vecchio centrodestra “presentabile” e peccato che Gianfranco Fini si sia fatto intortare dalla Tulliani, perché a Bologna c’era un altro posto in attesa. Ed eccoci a LeU. Dispiace per brava gente come Civati e Fassina, ma si tratta di una normale destra socialdemocratica. Sono autori o complici di ogni passaggio di demolizione dei diritti sociali del lavoro in questo paese. Sono stati la concessionaria italiana del clintonismo bombarolo in Kosovo, del blairismo bombarolo in Iraq, di Schroeder e del suo Harz IV, ma a differenza loro non hanno firmato prima i contratti per le conferenze milionarie post carriera, quindi tocca continuare con la politica. Stravedevano dodici mesi fa per Schulz, e mi dicono che da quando Corbyn ha saputo che gli hanno rubato lo slogan, for the many not the few, sembri Pappagone “Aglio e fravaglio fattura ca non quaglia”. Hanno guidato da dirigenti o leader maximi una navigazione che li ha portati dal 30% ad uno sperato 6%, ma sono sempre certi della loro e nostra rotta. Poi ecco i 5stelle. Qui non è stato facile. Ci sono voluti 5 anni a battere sui giornali e in Tv mazzate come Thor per piegare a destra una cosa ancora informe ma che voleva Rodotà presidente. Missione riuscita con Di Maio. Alle caratteristiche naturaliter di destra, come i ridicoli contratti ai parlamentari in spregio della più banale norma democratico costituzionale, all’ispirazione legge e ordine che solo in questo sciagurato paese sfugge al copyright conservator-reazionario, a furia di dipingerli come il male assoluto si è aggiunta la totale assenza nei 20 punti di ogni accenno ad invertire la deriva di sottomissione del lavoro al capitale, oltre che la dirimente questione del rispetto del fiscal compact, 40 punti di Pil in meno di debito che denota un odio antistatale alla Ron Swanson di Park and recreation, “dissanguare la bestia marcia dall’interno”. Però bisogna aggiungere che i 5 stelle sono innocenti. Fin qui non hanno colpe di governo, se non oneste incompetenze locali. Riserviamogli quindi la fiducia nella versione Davigo. Per adesso non li abbiamo scoperti. Resta una piccola pattuglia che giustamente prende le mosse da un ex manicomio criminale e che è talmente consapevole delle condizioni che non si pone neppure l’obiettivo di sbarcare in Parlamento col 3%. Sanno che la Lunga Marcia era, al confronto, la passeggiatina serale col cagnolino.

Lettera ai bambini mai nati

Che vi siete persi. La scritta sul muro perimetrale di un cimitero napoletano, dopo il primo scudetto di Maradona, mi torna in mente, adesso, per questa generazione non nata, “figlia” della crisi economica. Chissà cosa ci siamo persi, quanti nuovi o nuove talenti, quanti o quante geni erano lì, in potenza, nel buco demografico certificato dall’Istat, per la nona volta consecutiva dal 2008. Una coincidenza temporale che dovrebbe pesare come un macigno sulle coscienze di tutti coloro che hanno creato e contribuito, con la loro gestione sciagurata dell’economia, a spegnere la speranza, la voglia di proiettarsi nel futuro in questo, per ora, decennio perduto. Da 573mila nati a 464mila in un anno. Centinaia di migliaia, se continua così in un paio d’anni un milione di non nati. Sono cifre da grande pandemia, da guerra mondiale. I nostri governanti del decennio, nelle loro forbite o scalmanate dichiarazioni, nel loro promettere anno dopo anno un ripresa inesistente, nel sottomettere ogni investimento, ogni servizio sociale, ogni spesa, alle fatidiche cifre di Maastricht, hanno sempre trascurato o taciuto questa strage degli innocenti. Napolitano, Berlusconi, Tremonti, Sacconi Monti, Fornero, Letta, Saccomanni, Giovannini, Renzi, Padoan, Poletti, come dei Cadorna sanguinari e ottusi hanno gettato agli ordini di Bruxelles e di Francoforte il paese contro le trincee dell’austerità, ondata dopo ondata, attacco uguale, dopo attacco uguale, misurando la vittoria in irrisori decimali di punto. Mentre decine di migliaia, centinaia di migliaia di padri e madri rinunciavano ad esserlo, non perché avessero d’improvviso scoperto gli anticoncezionali o deciso di sacrificare la famiglia alla carriera. Ma perché la carriera non c’era e con lei la casa, la certezza del reddito, mentre il welfare veniva spellato come una immensa cipolla. Che cosa vi hanno fatto perdere!

Alamo

Le stranezze della politica. Il partito perno del sistema, il partito dell’establishment, il partito dello statu quo, del non si può fare altrimenti diventa, in mano al bomba, il partito antisistema. Il partito del bambino che prende il gol e porta via la palla perchè gli altri non giochino più. Provate voi a fare un governo se non ci sono i nostri voti. Impossibile. Matematicamente impossibile. Come nel 2013, per altro. Dove nonostante aver ottenuto l’incostituzionale premio di maggioranza il PD si prestituì (prestarsi più prostituirsi) prima ad un accordo con il Caimano, poi una volta passato nel rango dei pregiudicati, con il suo braccio destro senza quid, e altri incensurati poi variamente incappati in telefonate, palestre, relazioni ed orologi compromettenti. Ma ovviamente senza un plissè dei moralisti che oggi si stracciano le vesti all’idea dell’osceno compromesso con i pentastellati che, cattivelli, per tutta la legislatura hanno mal parlato del governo. Mentre come sappiamo Berlusconi dei governi di centrosinistra parlava benissimo, direi con eleganza. Eppure allora dall’alto del Colle il vecchio malvissuto si permetteva di frustare le camere che lo avevano appena rieletto perchè non volevano utilizzare l’occasione della legislatura e in assenza di accordi si inventava perfino commissioni, prive di qualunque legittimità, nientemeno che per rifare la costituzione, prodromo del Nazareno e poi dell’osceno papocchio Boschiano rivendicato dal bomba in faccia al nuovo no degli italiani. Ma stavolta, guarda caso, è diverso. E’ giusto barricarsi all’opposizione, anzi pare che ai colloqui al Quirinale o con Di Maio il PD, non sapendo dal 2011 come si fa a dire di no ,abbia chiesto una consulenza a Crimi e alla Lombardi. Forse nella speranza di poter ripetere a parti rovesciate quel film. Niente governo coi 5 stelle. Resta il governo con la destra, anche se oggi ha la faccia maceratese di Matteo Salvini. Ma perfino io non credo a tanto. Credo che Renzi speri di dimostrare che lui comunque è il perno del paese. Ma per farlo deve assumere il ruolo antisistema. Minacciare e, se del caso, realizzare il fallimento immediato della legislatura. Il doppio voto. Ha in mano due carte spaiate e sul tavolo c’è la sua sopravvivenza e quella del suo partito. Essendo un baro continua a rilanciare, mischiando poker e blackjack nella speranza che il banco sballi. Ma accanto a lui giocano i poteri forti già pronti a riallinearsi e a srotolare la lingua dell’ammirazione. Ve lo ricordate Marchionne, i peana per il condacutor di Riano? Oggi già dice: si è visto di peggio dei 5 stelle. Peggio? Chissà chi? Sarebbe stato bello che qualche collega glielo avesse chiesto, peccato non facciano i giornalisti. E davvero quei poteri a partire dal Colle, insultato in conferenza stampa, lasceranno che il bomba faccia saltare la legislatura appena nata? Davvero gli eroi di forte Alamo, quando dovranno decidere di rinunciare dopo due stipendi a un quinquennio tra gli scranni resisteranno come Davy Crockett? Davvero nessuno penserà a quella cartina gialla e blu e a quei così pochi collegi sicuri? E davvero tutti si fideranno che sia ancora Renzi a distribuire in una notte delle candidature da incubo le poche sedie certe. E se lui non fosse più il segretario? Ah quanti dubbi in quei cuori.

domenica 11 febbraio 2018

Macerato

L’assassinio di Jo Cox, la deputata laburista, da parte di un fanatico appena una settimana prima del referendum sulla Brexit non ha avuto effetto su quel voto. Nonostante l’esplicita rivendicazione al grido di “questo è per il Regno unito” da parte dell’assassino, nonostante la unanime condanna della stampa britannica, nonostante i sondaggisti fossero certi che quel crimine avrebbe spinto gli incerti ad un voto emotivo a favore del Remain sostenuto dalla Cox. Non credo che, neppure da noi, la caccia all’immigrato lanciata da Luca Traini per le strade di Macerata, nonostante la candidatura a livello comunale per la Lega, il tricolore sulle spalle, e il saluto romano, sposterà voti nelle elezioni, tra meno di un mese. Penso che neppure la reazione, nella tragedia così simile alla barzelletta del io non sono razzista è lui che è negro, di Matteo Salvini, il fulmineo rovesciamento logico per cui la colpa del pogrom è di chi ha lasciato entrare in Italia profughi e immigrati, gli costerà sul piano elettorale. E’ quello che i suoi elettori pensano da tempo, ma anche fuori dalla destra, come diceva Foucault “ciò che io dico non è esattamente ciò che io penso, ma è frequentemente quello che mi chiedo se non potrebbe essere pensato”. Per questo lo scatto di automatica superiorità morale che in queste ore ci stiamo spalmando addosso come un balsamo, noi siamo buoni e civili, quello è il volto del male, loro sono il clintoniano basket of miserables, come in America dopo ogni strage in un campus, temo non ci porti lontano. Ovviamente si, è vero. Traini è un criminale, probabilmente corto di cervello, certo intossicato di propaganda e di paure. Salvini e Meloni ( ma allora di volta in volta anche Casaleggio senior, Grillo, Di Maio e Minniti) agitano e rimestano nel calderone del maleficio che sta sobbollendo da anni. Dalla strage di Castel Volturno, agli spari contro i vu cumprà senegalesi di Firenze, agli sgomberi di Piazza Indipendenza a Roma, cui si oppongono dall’altra parte le picconate di Kabobo o il massacro di Pamela Mastropiero. Ovviamente è tutto vero. Ma abbiamo scelto un terreno di scontro facile, elementare, viscerale e, la storia insegna, sostanzialmente inutile. Penultimi che scalciano gli ultimi, ultimi che si abbrancano ai penultimi, sulla scaletta che porta su dalla allagata terza classe del Titanic, verso il ponte. Quando l’acqua sale, la ragione si inabissa. Se non si contesta la rotta della nave, se non si critica il capitano per la folle velocità della corsa, se nessuno ha soprattutto pensato al numero delle scialuppe, nessuno può dirsi estraneo alla catastrofe morale che segue, e seguirà, quella materiale

lunedì 5 febbraio 2018

La notte della Repubblica

Provo a volare più alto degli stracci. E lo faccio partendo da una frase di Carlo De Benedetti in una intervista, se ricordo bene, sull’Espresso di tanti anni fa. “Il partito comunista ha un prodotto pessimo ma un marketing eccezionale”. La storia dei primi venti anni di Repubblica è parte integrante di questa frase. Perchè il compito in parte esplicito, in parte obbligato di quel tratto della parabola fu, in sostanza, proprio questo. Sturare il naso tappato da Montanelli, abbattere il muro che divideva l’Italia, rendere accettabile e pienamente spendibile nella democrazia bloccata del nostro paese, quel terzo all’incirca di cittadini e quelle forze sociali e intellettuali che erano bloccate, incistate, negli equilibri della guerra fredda. Di fatto era la continuazione con altri mezzi delle strategie di Moro e Berlinguer, perfino del prima amicissimo e poi nemicissimo Cossiga. E per questo fu scontro, anche all’interno del giornale, con il craxismo che quel blocco voleva mantenere per ottenere non la liberazione dal ghiaccio ma la mutazione genetica dei comunisti, dopo aver realizzato quella dei socialisti. Repubblica, intellettuale collettivo, capace di esercitare l’egemonia culturale sulla sinistra. Quando il combinato disposto di Mani Pulite, della crisi economica, del crollo del comunismo reale si manifestò, Repubblica, la prima Repubblica, era di fatto il governo del paese. I nemici trascinati nelle aule di tribunale o assediati dalle televisioni nel cortile della Sapienza. Tra la vittoria dei sindaci di sinistra e la nomina del governo Ciampi era il sistema Repubblica a trionfare. Non dimenticherò mai la trionfale vasca di Transatlantico di Eugenio in occasione della fiducia al governo dell’ex governatore di Bankitalia. Ma, come sappiamo, quella vittoria venne ghermita e lacerata dall’emergere del Caimano. Il blocco sociale, prima nascosto nel ventre del pentapartito dimostrava, come disse con straordinaria acutezza Alberto Cavallari, di aver attraversato intatto il cinquantennio repubblicano così come la russia zarista era riemersa identica al crollo del comunismo. La Prima Repubblica (entrambe) aveva in un certo senso fallito. Bisognava cambiare prodotto, il marketing non bastava più. E la Seconda Repubblica (entrambe) spesero i successivi vent’anni nel tentativo di crearlo. Fallendo. Non credo mi faccia velo il sacrificio umano di mio padre, unica differenza strutturale tra la Prima e la Seconda Repubblica giornalistica, chiesto per altro esplicitamente dalla proprietà. ”Pensi che farei un piacere alla proprietà e anche a Ezio Mauro, se mi levassi dalle palle” “Credo proprio di si”, rispose Eugenio. E credo caso unico nella storia, ad un condirettore uscente non fu affidata neppure una rubrichetta su qualche testata dell’ormai tentacolare gruppo editoriale. Il cambio di prodotto, che doveva approdare al PD, si realizzò nella erratica congerie di tentativi di battere il blocco sociale e, oggi si può dire sentenze alla mano, criminoso del centrodestra. Ma quel prodotto, come ogni prodotto politico, aveva bisogno di una mitologia. Decaduta quella berlingueriana della sinistra austera ed eticamente superiore, rimaneva quella dell’Europa. Capace di raddrizzare con i suoi vincoli il legno storto della società italiana e, chissà, di fare argine all’Unfit che se ne era impossessato. Purtroppo la nuova metafisica, alla dura prova dei fatti, non si sarebbe dimostrata meno fallata dell’altra. Mentre il prodotto, esperimento dopo esperimento bruciava Prodi, D’Alema, Amato, Rutelli, Fassino, Veltroni, Franceschini, Bersani, Letta e Renzi, ogni sua nuova versione spostava sempre più, da una legge Treu fino all’abolizione dell’articolo 18, il baricentro verso un centro tanto immaginario quanto inafferrabile elettoralmente. Ed ogni cedimento, come nel tiro alla fune, rendeva solo più forte l’avversario. Quando la nuova crisi esplose, l’intervento europeo tra risatine e manovre sullo spread sembrò poter riuscire in quello cui il prodotto aveva fallito. L’epifania di Monti, un colpo di genio di Napolitano, sostenevano all’unisono Editore e Fondatore sembrò loro un secondo governo Ciampi, invece del commissario liquidatore, su programma dei governatori francofortesi, di ogni residua istanza di centrosinistra. Dalla concertazione alla sua abolizione, tanto per dirne una di metodo. Non si rendevano conto, entrambi e con loro quell’eccellente professionista di Mauro che essi erano il bambino all’interno dell’acqua sporca che stavano gettando via. Ricordo la paternalistica, inusitata violenza verbale con cui Eugenio liquidava, quasi diseredandola del suo cognome, i dubbi di Barbara Spinelli sulla traiettoria dell’Europa reale, mentre si tesseva il quotidiano panegerico su Ventotene. E se quella era la linea, allora e inevitabilmente, il nemico impercettibilmente, inavvertitamente non era più il Mackie Messer degli editoriali anni 90, ma il populismo grillino. Per loro Hyksos, di raccapricciante ignoranza, di aspetto tanto spaventoso quanto dovevano sembrare i proletari, fangosi e monocigliuti, ad un nobile zarista. Il prodotto dunque si schierò tutto a guardia dell’argine, ma guardando verso terra, ove resta tuttora. Ignaro, quasi tuttora, che alle sue spalle ruggisca il fiume montante di una destra cui, lasciato il campo completamente libero nel sociale, non resta che rivendicare anche il razzismo. Per cui non errore di un ingrato, svanente, nonuagenario , ma inevitabile compimento di una strategia diventa l’endorsment al Caimano piuttosto che allo “sfaccendato” di Deluchiana definizione. E quando l’Editore, oggi, rimprovera il Fondatore è solo un tragico Dorian Gray alle prese con il suo ritratto.

giovedì 25 gennaio 2018

Un sacco brutto

3.500.000.000.000.000. Tre milioni e mezzo di miliardi. Di sacchetti di plastica. Meglio, di quote della tassa da 2 centesimi su quelli per le verdure. Se lo studio di Bank of America ( http://www.repubblica.it/economia/finanza/2018/01/14/news/climate_change_bofa_merril_lynch-186069812/?ref=RHPPBT-VE-I0-C6-P10-S1.6-T1 )sulle misure necessarie a parare la catastrofe globale del cambiamento climatico è corretto queste sono le dimensioni del problema. Per evitare che il termometro vada fuori scala, da 4 a 12 gradi in più, alla fine della vita dei miei figli, occorre intervenire subito e in maniera massiccia. Quella cifra all’inizio corrisponde ai settantamila miliardi di dollari che serviranno da qui al 2040 per realizzare la transizione ad un mondo sostenibile. Il problema dei sacchetti è quindi, se credete agli scienziati, risibile. Facendo rapide divisioni il costo per ripulire il pianeta vale circa 10mila dollari per essere umano attualmente in circolazione. O, se preferite, una cinquantina di annate del PIL del nostro paese, o più o meno un anno intero del Pil mondiale. E’ ovvio che i due centesimi sono assai meno del proverbiale ditale per svuotare il mare. Ma non devono essere presi sottogamba perchè ci interrogano su una cosa fondamentale. Questi soldi chi li deve tirare fuori? La soluzione sacchetto dice in maniera esplicita voi, noi. I consumatori finali. Prima indotti, inconsapevolmente, a portare il pianeta sull’orlo della distruzione, fin da quando Bramieri ci canticchiava “ma signora guardi ben che sia fatto di Moplen”, e adesso chiamati a pagare le pulizie. Chi questo modello di sviluppo, come si diceva una volta, ha voluto e su cui ha costruito immense fortune, niente. La vecchia regola del chi rompe paga non vale. Qualcuno ha fatto davvero il conto del costo che gli abitanti del pianeta dovranno pagare per il dieselgate, cioè solo per la parte truffaldina del sistema ecologico-economico di questi ultimi anni. Sarà compensato dalle multe? Possiamo dubitarne sulla scia della vicenda amianto? Perchè, sapete, l’allarme non è di oggi. Tanto per dire il primo sulla famosa isola di spazzatura plasticosa che galleggia nel Pacifico è della metà degli anni ottanta. Praticamente coevo della scoperta del buco nell’ozono. Ma, siccome combattere i gas CFC non era tanto costoso per il sistema, il buco ormai è quasi chiuso. L’isola di plastica, invece, potrà tra breve essere utile come zattera per le popolazioni costiere. Ma anche a non voler essere “punitivi” nei confronti dei produttori, perchè sappiamo, “comprendiamo”, che è più facile fare pagare poco a mille che tanto a uno, non sarebbero quei 70mila miliardi di investimenti un momento d’oro per il ritorno dello stato imprenditore di cui parla Marianna Mazzuccato e di una economia non basata solo sui profitti di pochi ma sugli interessi generali? Perchè, sia chiaro, i 34miliardi di investimenti VW o gli 11 di Ford per le auto elettriche da qui al 2025, li pagherete tutti voi, a listino. Non sarebbe ora di un piano Marshall planetario, un patto, questo sì, a debito pubblico con le generazioni future ( che altrimenti se la passeranno davvero male,se ci saranno)?

lunedì 22 gennaio 2018

#Metoo

C’è qualcosa che ricorda la genuina sorpresa del marito manesco nelle reazioni che vengono dal Pd, dopo il no all’accordo in Lombardia da parte di Liberi e Uguali. Quel chiedersi perplessi, ma perché mi odi? Che ti ho fatto? E anche negli appelli dei padri nobili, che sembrano più i figli disperati delle coppie divorziate male, e che fantasticano di un’armonia familiare che non c’è mai stata. Un po’ come deciso da alcuni giudici di Torino, quello che è successo alla sinistra all’interno del Pd non configura il reato di maltrattamenti. In fondo una sberla ogni tanto non cagiona “un disagio continuo e incompatibile con le normali condizioni di vita” e perché si sarebbe trattato di “atti episodici” che erano accaduti “in contesti particolari. Qualche voto di fiducia episodico, qualche legge particolare, anche rottamare la Costituzione non impediva le normali condizioni di vita. Per esempio Emiliano e Orlando pare siano ancora in discreta salute e Fassino è stato visto perfino un po’ più in carne. Ma la cosa bella, almeno a leggere Gori, è la convinzione che l’odio sia una questione di gerarchie, di nomenklatura. Roba da D’Alema. E questo è davvero strano perché, anche a prescindere dal diverso atteggiamento nel Lazio, se qualcosa ci dicono i sondaggi, già in calo, per la formazione di Grasso è proprio che il potenziale elettorato è molto, ma molto, più incazzato rispetto a dirigenti che hanno trangugiato quasi tutto in questi anni, a partire dal novembre 2011 e fino alle più recenti votazioni sulla legge elettorale, almeno per quel che riguarda Boldrini. Annegati nella loro colossale autocostruita fake news dei Mille giorni, i Democratici sono convinti che tutto questo un po’ sia piaciuto, che diceva di no ma ci stava, e poi sapessi come sono diffuse le fantasie di sottomissione. Per la gente in carne e ossa, invece, sono stati anni di diritti persi, di stipendi calanti o scomparsi, di lavori a tre mesi, tre settimane, tre giorni, pensioni che si allontanano come la tartaruga da Achille. Per cui, per questa rabbia immensa, come direbbe il Cyrano di Guccini, non basta copiare lo slogan di Corbyn, bisogna copiarne anche i comportamenti politici. “Instead of career they had causes”.

sabato 6 gennaio 2018

Meraviglie. La penisola dei tesori

E così, tra un paio di mesi, ci toccherà vedere la quarta resurrezione. E Matteo Renzi si aggiungerà ad Occhetto, D’Alema, Veltroni e Bersani nella lunga teoria degli sconfitti da Berlusconi. Un Berlusconi ormai transitato dalla chirurgia estetica alla tassidermia, identico nel colore del legno e nella conciatura della pelle alle sedie di Cantù che ornavano i tinelli del proletariato anni settanta. Accompagnato da tipi che fanno ripensare a Fini e Bossi con la reverenza che si riserva ai Pari d’Inghilterra. Siccome si tratta di un cinepanettone stravisto, dal titolo La gioiosa macchina da guerra a vocazione maggioritaria, non ci sarebbe neppure da spendere due parole per trama e critica. E tuttavia il regista è riuscito in una operazione miracolosa. Fare peggio delle altre volte. Rendersi del tutto inutile. Perchè tra tutte le scelte che troveremo sulle schede del Rosatellum, una sola non serve veramente a niente. Il voto al Pd. Perfino il voto a Liberi e uguali/Libere e uguali, se no mi si offende la Presidenta, ha un suo perchè. Abbattere Renzi, anche a costo di votare per una banda di complici,, prima e di succubi poi della globalizzazione che adesso, ci spiegano, è diventata tanto brutta, sapesse signora mia. Votare per la sedia di Cantù, è un po’ come richiamare Valcareggi dopo Ventura, serve almeno a sentirsi giovani come eravamo un quarto di secolo fa. Come su un muro sbrecciato della ex Jugoslavia “torna Tito tutto è perdonato”, torna Silvio. Condanne, mignotte, braccia destre in galera, lo spread, i caroselli e i girotondi, ci ha detto Scalfari, sono da dimenticare e noi ci fidiamo. Oh se ci fidiamo. Perchè così fermiamo i barbari, rozzi, ignoranti pentastellati. E ci prendiamo Salvini con la Meloni di contorno. Votare per i rozzi, dio se lo sono, è, sarebbe, potrebbe essere, l’unico voto utile per fermare costoro. Ma siccome non sono Macron dio ve ne scampi e liberi. Che poi non siano Macron, sarebbe tutto da vedere perchè l’odio congenito per lo Stato, inteso come erogatore di servizi e beni ce l’hanno. Mi è cascato l’occhio su un elogio di Giggino a Cottarelli e alla spending review, un ziczaccare di forbici da 50 miliardi di sprechi e corrruzzzzione che farebbe inumidire l’occhio al lugubre Monti. Ma comunque votare per loro significa, per chi lo fa, provarci. Male che vada Spelacchiati lo siamo già quasi tutti. Votare Pd non serve a niente. Non evita la vittoria di nessuno, non contribuisce alla vittoria di nessuno. Mission accomplished, indeed.