mercoledì 21 giugno 2017
Cameriere mi porti il Conte, per favore.
Jon Ossoff, chi era costui? Era , per dirla con le parole del nostro presidente del consiglio il Conte Paolo Gentiloni Silveri, viendalmare,un esponente della sinistra che vince. Perchè ci ha detto il Conte, nato maoista e gruppettaro per finire rutelliano e renziano, davvero che spreco che si fa della vita a volte, quella che perde non gli piace. Quella che perde, dice, è quella di Sanders e di Corbyn. Quella che vince, ovviamente, deve essere quella di Macron. E Jon Ossoff è proprio un macronide della Georgia, USA. Impegnato con il sostegno economico spettacolare dell’ala clintoniana del partito, quasi 23 milioni di dollari di spesa, a vincere la più facile delle campagne elettorali per un seggio parlamentare in una supplettiva. La più facile, a leggere le nostre cronache e i nostri commenti, basata sullo slogan: rendete furibondo Trump. Quel presidente spregevole e disprezzato, inseguito dall’impeachment per ostacolo alla giustizia, forse spia russa o comunque succube di Putin, quel pagliaccio che sapete e che in quel particolare distretto, di buona classe medio alta americana, aveva vinto per appena il 2% dei voti sulla Clinton. E quindi vai col macronide, sottospecie hillaryca. A me i repubblicani per bene, disgustati dal capello color paglia, vai con un bel programma centrista, e chi se ne frega dell’elettorato di Sanders, quello che avendo sentito il conte Gentiloni perde, insomma la ripetizione in salsa giovanile del sorriso rictus della ex first lady. Ovviamente la sinistra che vince ha perso. Si è scoperto che per quanto gli americani disprezzino Trump, solo il 31% nell’ultimo sondaggio pensa che un congresso controllato dai democratici attuali avrebbe un qualche impatto positivo sulle loro vite. Questo voto, per noi giornalisti qui a destra dell’Atlantico non significa nulla, abbacinati dal Re Sole dell’Eliseo e dal suo insostenibile splendore vincente, 16% degli aventi diritto al voto nel ballottaggio delle politiche. Però se leggeste The Nation, The Jacobin, Vox e pure il Financial Times vedreste che loro ne parlano, eccome di Jon Ossoff. Come dell’ultima pietruzza tombale sulla sinistra che vince di Gentiloni. Quella che per riuscirci, e ormai non sempre, è diventata solo un’altra destra.
mercoledì 7 giugno 2017
La versione di Corbyn
Tra qualche ora sapremo quanto vicino Corbyn è andato alla vittoria e quanto lontano si è portato dalla catastrofica sconfitta che tutti gli avevano pronosticato almeno dal giorno della Brexit. Ma già adesso ad urne aperte sappiamo quanto grande è la sua vittoria culturale, quanto grande la speranza che potrebbe accendere nei cuori di mezza Europa se solo tutti non fossero accecati dal breve periodo. Perchè Corbyn è riuscito a riaffermare come attuali,e politicamente presentabili, le vecchie, buone idee della sinistra. Senza inventarsi nuovi soggetti dai nomi fantasiosi, senza aprire cantieri, campi, possibili e impossibili. Ha preso il vecchio, glorioso nome del laburismo inglese e con tenacia lo ha ricolmato dei suoi contenuti classici. Lo hanno deriso, dipinto come un vecchio arnese, una specie di Chavez europeo. Mentre gli intellettuali si innamoravano di un Renzi, di un Macron, di uno Schulz, lui ha vinto due congressi in cui l’apparato blairiano ha tentato di assassinarlo politicamente, e semplicemente ripetendo le idee e i concetti che ha predicato da quando aveva vent’anni ad adesso ha riportato centinaia di migliaia di giovani ad iscriversi e palpitare per le idee socialista. E di fronte alla sfida spregiudicata di una leader conservatrice che ha provato a trasformare la disfatta subita dal suo partito nel referendum in un opportunistico trionfo a base di Brexit significa Brexit, ha saputo fornire agli elettori una narrazione diversa. Proprio lì dove il popolo si era trincerato in un isolazionismo al grido di i nostri problemi sono aggravati dagli “altri”, ha saputo ribadire che i nostri problemi nascono solo dalle “nostre” politiche. Perfino rigirando nella piaga dell’austerità il coltello dei tagli alle forze di polizia, decisi dalla May in base all’odio anti statale, e che certo rendono più facile ai terroristi il loro sporco lavoro. E adesso offre non la negazione della volontà popolare, come hanno detto e fatto le sinistre figure che altrove si proclamano di sinistra, ma la sua vera interpretazione di sinistra. Perchè la Brexit, così come l’uscita dall’Euro, o l’esservi entrati, non è un atto tecnico e neutrale ma prende il suo colore e il suo significato in base a come lo si gestisce, a quali politiche cancella e quali inizia ad applicare. Eccolo allora il voto utile, che riporta la sinistra alla sfida che può essere vincente o perdente ma sui propri valori ed obiettivi. Se non oggi, domani. Ecco la sfida che fa chiarezza nella melma centrista. Cosa voteranno i Bremainers? Cosa i famosi giovani dei melensi richiami all’Erasmus. Sarebbe potuto accadere anche in Francia dove i voti socialisti uniti di Melenchon e Hamon al primo turno avrebbero garantito il primo posto in vista del ballottaggio e l’eliminazione della Le Pen. Cosa avrebbero votato e titolato in uno scontro Macron Melenchon? Cosa avrebbero invocato e titolato al posto della Union sacrée antifascista? Perchè quelli che oggi parlano della cecità della sinistra, riferendosi al PD, tacciono della versione di Corbyn? Io credo di saperlo.
martedì 30 maggio 2017
Non fate quella faccia
E’ un bel po’ che non parlo più di politica italiana. Dopo averlo fatto per mestiere la trovo oggi insopportabile. Ma ne sono tratto da alcuni editoriali apparsi sulla Repubblica. Di singolare incoerenza. Perchè imputano a Renzi di proseguire in quel progetto che hanno accompagnato con peana, tranne la breve parentesi sucessiva al 4 dicembre, non si fosse visto mai che il Pd avesse trovato la forza di liberarsene. Alti lai per la collaborazione sulla legge elettorale con un certo Berlusconi. Con cui mi pareva che Renzi avesse fatto un patto addirittura per rifare la Costituzione. Alti lai per un accordo col centrodestra, come se il governo sostenuto all’epoca e pure oggi da Alfano e Verdini fosse un soviet di trozkisti. Alti lai perchè non ci sarebbe la chiarezza del programma. Amici miei, la vedete kla continuità tra il job act e il voto in parlamento, con Forza Italie e i terribili populisti della Lega sui Voucher. La linea è chiara e diritta da almeno quattro anni ( sono almeno dieci ma non formalizziamoci). Ma queste sarebbero incoerenze tutto sommato minori. Quella massima riguarda il nuovo idolo Macron. Che ha fatto esattamente lo stesso. Percorso da un sedicente sinistra verso il centro e poi accordo con la destra istituzionale di Fillon, pregasi controllare chi è oggi il primo ministro a Parigi, per sbarrare la strada agli opposti populismi. Vi prego osservate la realtà. Se come dite da anni il vero problema è sbarrare quella strada, e quindi da noi impedire ai 5 stelle da un lato e ai leghisti dall’altro di governare, voi cos’altro state sostenendo se non l’alleanza Renzi Berlusconi ( il che non escluderà ovviamente i leghisti in un modo o nell’altro)? Vorreste fossero Macron e Fillon? Merkel e Schulz? E ma noi questo abbiamo, quindi allegri, non fate quelle facce da funerale, del resto non vi vedo sprecare inchiostro in favore di Corbyn. Non fatemi come il vecchio Pisapia ia ia oh, che adesso dopo aver votato si al referendum si accorge che Renzi, oddio oddio, guarda a destra e non verso di lui. Bel leader, occhio fino, capacità di analisi, complimenti. Adesso tocca aprire di corsa il cantiere per raccattare tutti insieme, dopo essersi sfanculati sulla costituzione, quel 5 per cento necessario ad accularsi nell’emiciclo. Il voto utile, immagino, si dirà. Tipo quello che ha prodotto, via Vendola, Gennarino Migliore. Ussa via!
lunedì 22 maggio 2017
Il regno di Id
Secondo l’immortale striscia del Mago Wiz: “ Maestà come va la guerra alla povertà? La sto vincendo. E tutti quei poveri là fuori? Loro l’hanno persa.”
Mario Draghi ci ha annunciato qualche giorno fa che la crisi è finita. Ha ragione. E’ finita. Nel senso che con il voto in Francia sono finite, nel ragionevole futuro, le possibilità che la costruzione dell’Euro entrasse in crisi dal punto di vista politico. Qualche anno fa, al culmine della crisi dei debiti sovrani, Paul Krugman da economista si stupiva della sopravvivenza dell’Euro, una insensatezza economica. Ma poi ammetteva, quello che lo tiene in piedi è l’immenso investimento politico che ha comportato. Come si è visto la diagnosi era corretta. Solo una perdita catastrofica sul piano politico avrebbe potuto eliminare l’errore economico (che poi errore non è visto che la crisi da esso parzialmente indotta è servita allo scopo che l’inventore della teoria delle aree valutarie ottimali gli attribuiva, quello di essere il reaganismo che avrebbe demolito l’Europa del welfare). Questa perdita politica c’è stata, ma non in misura sufficiente. In Francia oltre il 40% degli elettori sui due rami dello schieramento si è schierata contro la struttura vigente, ma al secondo non si è sommata. Non voleva, e se anche avesse voluto tutto è stato fatto per renderlo impossibile. E Marine Le Pen nei giorni successivi alla sconfitta non ha mostrato maggior spessore di Tsipras dopo la vittoria. Gli orizzonti quindi si allontanano politicamente di un quinquennio, il secondo dall’inizio della crisi europea, quasi il terzo dallo scoppio di quella globale. Potrebbero accorciarsi ma solo al prezzo di una nuova scossa economica che, francamente, nemmeno un tantopeggista come me riesce ad augurarsi e ad augurarvi anche se in parte ce la meriteremmo. Il sistema è dunque riuscito a inglobare e digerire la più potente malattia dai tempi del 68. Lo ha fatto in buona parte grazie a noi. Dalla Grecia agli Stati Uniti le varie sinistre, dai portuali del Pireo agli attori di Hollywood, hanno tremato sull’ultimo scalino. Ad Atene, quindi, la società civile ha fatto un salto indietro di mezzo secolo. A Washington il salto è temporalmente irrilevante, l’America fa esattamente lo stesso che ha sempre fatto, guardate i traffici di armi con i Sauditi alla faccia del 11 settembre e delle sue povere vittime, ma il lavoro dei globuli bianchi di CIA e FBI ad ogni minimo contatto di Trump con i russi è l’equivalente moderno dei tre proiettili di Dallas. Nemmeno dalla Casa Bianca si può sfidare il complesso militar industriale. Caligola non può portare le legioni a raccogliere conchiglie.
Ma adesso tocca tornare alla striscia di Parker e Hart. E’ finita, d’accordo. Ma quegli straccioni nel cortile del castello? Quell’Italia, per stare nel nostro piccolo, disegnata dai vignettisti dell’Istat. Impoverita, proletarizzata visto che si fatica a rintracciare il ceto medio gemma del nostro miracolo economico. Spaventata e incattivita. Uno spazio sociologico immenso per una sinistra che tornasse a fare il suo mestiere di pedagogia delle masse. Dato che le masse anche se ridotte ad una infinità di individui continuano ad esistere, così come continua ad esistere la pietra anche se noi sappiamo della sua struttura atomica. Una sinistra pedagogica per la buona causa degli sconfitti della crisi, invece che la sua versione corifea dei vincenti ha bisogno, oltre che di idee nuove e del recupero di quelle vecchie, di tempo. Ma oggi è totalmente preda dell’orizzonte corto delle elezioni. Un Marx, un Lenin, un Togliatti o un Berlinguer, oggi, non avrebbero una seconda chance. Tutto si deve prostituire al miraggio del governo. E’ quello che con strazio vedo accadere in Gran Bretagna. Un programma come quello di Corbyn, for the many not for the few, assolutamente condivisibile e probabilmente capace di invertire il pendolo avvelenato del tatcherismo, sarà accusato di essere il responsabile della possibile sconfitta, che invece sta nella sottovalutazione della rabbia sociale che ha portato alla Brexit tema che doveva essere dei laburisti e non di quel pagliaccio di Farage, e, con grande piacere del Re di Id, messo da parte invece di stare lì ad attendere la prossima, inevitabile, crisi come pietra di paragone di quello che si può fare di diverso e migliore. E avremo perso davvero.
venerdì 12 maggio 2017
Il fantasma della libertà
Bunuel aveva fatto un film geniale, Il fantasma della libertà, che si apriva con i rivoltosi che urlavano Viva la catena e finiva con lo sguardo attonito di uno struzzo sui rumori di una repressione di piazza. Lo struzzo, quello della testa sotto la sabbia. Questo è in soldoni il programma del partito laburista di Corbyn alle prossime elezioni. Rinazionalizzazione delle ferrovie perchè i privati non hanno a cuore gli interessi dei passeggeri. Dell’energia elettrica per imporre una conversione rapida alle rinnovabili per combattere il cambiamento climatico. Un impegno a costruire centomila nuove abitazioni popolari ogni anno con fondi pubblici. L’abolizione delle tasse universitarie, oggi fissate a 9000 sterline all’anno. La fine del processo di privatizzazione del sistema sanitario nazionale che verrebbe rifinanziato con 6 miliardi di sterline all’anno. L’aumento dei fondi per il welfare di un miliardo e seicento milioni. L’abolizione dell’aumento dell’età pensionabile a 66 anni. Investimenti pubblici fino a 250 miliardi di sterline per creare un milione di posti di lavoro di alta qualità, l’abolizione dei contratti di lavoro a zero ore, l’aumento delle tasse per i redditi sopra le 80mila sterline. Il divieto di missioni militari all’estero finchè ogni alternativa diplomatica non sia stata esclusa. Potrai dire che è un libro dei sogni. Ma almeno non è il libro degli incubi del neoliberismo ed è come si vede l'opposto esatto del populismo di destra. Ma "ovviamente" non va bene perchè troppo di sinistra e quindi avrà meno del 30% dei voti. Quindi. Se c'è un fascista noi di sinistra dobbiamo votare il banchiere, gratis. Se ci sono i conservatori pro brexit invece, i benpensanti remainers, che sono il 49%, più tutti quei bravi giovani che non sono andati a votare ma che ci hanno a posteriori rugato le palle con il loro futuro europeo, pur di non sporcarsi le manine con i diritti dei poveri, lasciano vincere i brexiters della May. Io mi sono stufato degli struzzi
martedì 9 maggio 2017
L'arc de triomphe
E’ dal tempo di quella di Obama che non si vedevano erezioni paragonabili. Le torri Eiffel della speranza e del compiacimento svettano su un panorama che era stato fin qui mesto e pesto. Ora, che questa tumescenza si verifichi non per Obama ma per Macron è già un segno dei tempi. Dal primo presidente nero di un paese ad una generazione dall’apartheid, ad un banchiere a più due secoli dall’arricchitevi di Guizot. Comunque il problema non sta negli esordi. A differenza di tutti i colleghi per cui le elezioni sono uno straordinario momento di coscienza popolare solo se vanno come uno spera, io non mi metterò certo a dire che i francesi hanno sbagliato, o che sono ignoranti come gli americani e gli inglesi di Trump e della Brexit. Prendo atto che posti di fronte ad una scelta chiara hanno chiaramente scelto. Hanno, certamente, ottime ragioni. Una delle quali, e questo va sottolineato, che, a differenza degli anglosassoni che non l’hanno mai provato sulla pelle, sentono ancora il valore della pregiudiziale antifascista. Da italiano, come ho ricordato nell’ultimo contropelo questa pregiudiziale da noi è tanto dichiarata quanto risolutamente disattesa almeno dal 1993, ne sono felice e spero che tutti i macroniani locali la vogliano applicare nel prossimo futuro. In senso generale il voto di Parigi indica che l’ondata populista, per ora e per un verosimile futuro, non raggiungerà i palazzi del potere. Ha quindi ragione Munchau a scrivere che il voto francese è la prima vera buona notizia per l’Unione europea dall’inizio della crisi del 2008. Capisco un po’ meno l’entusiasmo di chi si considera di sinistra, all’idea che le macerie della crisi, il carnage avrebbe detto Trump, si lascino dietro un Europa più a destra in ogni senso. I Conservatori inglesi, sconfitti nel referendum da loro indetto, banchetteranno sul cadavere di labour che ha fatto sull’argomento il pesce in barile, perdendo sia i brexiters proletari che i remainers intellettuali. La Spagna, rifiutando l’accordo Podemos Ps, si è riconsegnata a Rajoy. La Francia passa da un soi disant ma comunque socialista a un tecnocrate dichiarato, mentre la sua destra si trasforma da gaullista a lepenista. L’Italia vede il suo voto costituzionale, totalmente ignorato e irriso dalle istituzioni, con lo sconfitto in capo che torna a dettare tempi e legge. Ecco: il problema non sono gli esordi sono gli sbocchi. Otto anni di Obama ci hanno portato a Trump, segno che qualcosina non deve essere andata come l’abbiamo raccontata. Otto anni di crisi da questo lato dell’Atlantico ci portano a Macron, cioè al cambio di locomotiva ma sullo stesso binario ideologico da cui veniamo. E su cui correranno probabilmente più forti. Io ho deciso. Vado anch’io sanza meta, ma da un altra parte
giovedì 4 maggio 2017
Il secondo fronte
Una domanda, se volete provocatoria. Marine Le Pen è, oggi, più o meno fascista dello schieramento che ha vinto tre volte le elezioni in Italia, Berlusconi, Fini e Bossi? Secondo me lo è meno e quindi faccio davvero fatica a sopportare questo pseudo spirito da Union sacrée che coinvolge perfino persone di solito attente come D’Arcais o Giglioli, tutti intenti a fare distinzioni gesuitiche sulla barriera da opporre in Francia. Ora, a parte che noi in Francia non votiamo e, quindi, tutta questa agitazione mi pare solo destinata a seminare il terreno per un analogo appello anti 5 stelle quando il momento verrà, se qualcuno può strillare all’Union sacrée sono i paesi che l’hanno praticata, ad esempio proprio la Francia ai tempi di Jean Marie Le Pen, fascio vero e bollinato e difatti sui palchi insieme a Gianfranco Fini. Ma noi italiani? Noi che abbiamo benedetto, dall’Avvocato all’intera batteria delle firme del Corriere, il Cavaliere e il suo codazzo di Calderoli e Borghezio, di Gasparri e Alemanno e La Russa? Definiti come una rivoluzione liberale, non appena bevuta un mezzo bicchiere di Fiuggi. In cosa costoro erano meno fascisti o razzisti dell’attuale Front National? Ripeto secondo me lo erano di più. E più pericolosi dato il potere mediatico e il servilismo italico. Mi direte: e che c’entra noi ci siamo opposti a quella gentaglia e quindi ci opponiamo anche alla Le Pen. Ci sto, allora espungo D’Arcais e Giglioli, ma non uno solo di coloro che hanno militato o votato per il PD dal novembre 2011 ad oggi, visto che con quella gentaglia avete governato e in parte scritto la fortunatamente bocciata riforma della Costituzione. Eppure vi sento e vi leggo. Vi siete strappati la striscia imbevuta di Chanel numero 5 da sotto il delicato nasino e annusate il fetore di oltralpe con voluttà da tartufari. Fate attenzione però a non buttarla perchè con Berlusconi e i suoi vi toccherà rifare accordi e governi nel prossimo futuro, dati i numeri. E qui vengo alla domanda retorica fatta da Giglioli in un suo post su Facebook, chissà se si sarebbero fatte tante pulci alla Le Pen se avesse dovuto battersi domenica con Melenchon. La risposta, parecchio irritata, confesso, sta in quanto scritto finora. Tre volte l’Italia ha scelto loro e dall’altra parte c’erano innocui personaggi come Occhetto, Rutelli e Veltroni. E allora perchè, perchè ancora una volta stregati dal ricatto del meno peggio facciamo finta di non sapere che il nostro voto viene sempre chiesto gratis, come sacrificio alla patria. Chi scelsero la Gran Bretagna e la Francia del Fronte popolare in Spagna, tra gli sgherri di Franco e Garcia Lorca? Chi scelsero tra i poveri cechi e il male assoluto hitleriano? Dove furono le sanzioni alla cubana contro Pinochet o Videla? Se volete il fronte unito contro il fascismo deve essere a doppio senso, come quello di Churchill Roosevelt e De Gaulle. Contro Hitler perfino con Stalin. Per meno di così, cavatevela da soli.
martedì 2 maggio 2017
Macronfagi
Guai se nel nostro corpo mancassero i macrofagi, gli spazzini del nostro sistema immunitario. E guai se i Macronfagi non stessero lavorando alacremente di scopa nella società. Continuerebbe a perpetuarsi l’equivoco di questa sinistra non sinistra che va da Orlando a Varoufakis, da Michele Serra a Tony Blair, e di cui io non faccio più, orgogliosamente, parte. Avendo citato il compagno di sdraiate, le sue metaforiche, le mie reali, non ci si può esimere, dopo la mia affermazione, dal rievocare il titolo di una memorabile rubrica del vecchio Cuore, quando ancora una stilla di sangue correva nelle sue arterie. E chi se ne frega. In effetti: chissenefrega. Non fosse che io sono uno come tanti, una milionata alle primarie del Pd, circa un terzo rispetto alla volta precedente, non più interessati all’oggetto. Disinteresse reciproco, per altro. A loro non gliene può fregare di meno di noi. Hanno provato a farcelo capire con le loro scelte strategiche, ma in tanti hanno continuato ad ingoiare la medicina fino a risultare totalmente vaccinati al morbo delle ingiustizie sociali, in soldoni quel milione e otto che ha consapevolmente scelto il partito di Renzi dopo averlo assaggiato per tre anni, quelli che voteranno Macron dopo 5 anni di Hollande e Valls. Quando si sono accorti che altri resistevano, hanno deciso con rocambolesca saltinbancheria di dargli dei fascisti. Lo schema probabilmente riuscirà in Francia, è fallito da noi al referendum, chissà alle elezioni, ha un enorme sostegno dei media e degli intellettuali ma ovviamente è paradossale. Se un fascista vero difende oggi qualcosa che fu strappato, col sangue, ai fascisti veri ieri, se lo difendete pure voi allora siete fascisti. C’è della follia in questa logica. Ma c’è anche la logica. In fondo delle tre grandi risposte individuate da Gramsci al problema della modernità, comunismo e fascismo hanno fallito e solo l’americanismo è rimasto in campo. Quella roba lì per cui Obama prenderà adesso 400mila dollari per ogni ora di discorso, in cui ci spiegherà sussiegosamente che cosa bisogna fare per evitare che uno come Trump vinca le elezioni. Vai con la scopa.
martedì 25 aprile 2017
L'ultimo spettacolo
Ormai la direzione di marcia, forse non l'approdo, ma ci credo poco, è chiaro. La grande crisi dell'economia neoliberista e delle sue strutture di potere e comando si concluderà con un feroce spostamento a destra degli equilibri politici, senza che questo spostamento a destra si spinga abbastanza in là da creare uno squilibrio decisivo. Nel contempo la vecchia sinistra che si è compromessa con il sistema, avendo archiviato l'idea di controllarlo, pur di mantenere le sue posizioni di potere esce annientata per sempre. Elezione dopo elezione i dati si confermano i vecchi partiti socialisti, pur partendo spesso da posizioni di governo, precipitano verso, o direttamente, a percentuali a una cifra eppure non appena subita la batosta e mentre proclamano a gran voce di aver “capito” la lezione si precipitano a confermare tutte le politiche che li hanno portati lì, tipo il votate Macron al secondo turno, denunciando in questo modo la loro completa estraneità al mondo che li circonda. Quelli che non solo hanno “capito” ma ci hanno “pensato su”, diciamo la sinistra da Melenchon a Massimo D'Alema, passando da Tsipras e Corbyn, pensano di poter affrontare tempi di ferro con la stessa morbidezza con cui si avvolsero nei velluti della inesistente terza via. Non hanno il coraggio di affondare le mani nella merda e nel sangue della politica, secondo la vecchia formula di Rino Formica. E oggi la merda e il sangue sono le pulsioni identitarie, i razzismi, gli sciovinismi, i nazionalismi, i protezionismi,le xenofobie risorgenti. Questo no strillano, come demi vierge scandalizzate. E poi, ovviamente fanno il decreto Minniti ma nulla che possa turbare i mercati. E certo che no, certo che no. Ma le risposte! Non le domande! Non la domanda che chiede, disperata, protezione, aiuto, sicurezza. E' tempo di esercitare da sinistra la stessa spregiudicatezza che viene esercitata da destra. Non si può dire voglio un articolo 17 e mezzo, si deve dire voglio il 18 e mezzo. Perchè se no, ormai è chiaro, elezione dopo elezione la scelta reale che viene lasciata agli elettori è tra una destra ferocemente liberale, finanziaria, individualista ed una destra ancora più destra, verso l'infinito e oltre, Tra Trump e Clinton, tra i conservatori e l'Ukip, tra Wilders e Rutte, tra Macron e la Le Pen. Tra Renzi e Berlusconi. E gli elettori dimostrano di essere abbastanza disperati da affidarsi sempre di più alla destra che più destra non si può. Qualche volta vince: in America, al referendum inglese, qualche volta perde: in Olanda, in Austria verosimilmente in Francia, ma sempre dopo aver imposto uno spostamento dell'equilibrio impressionante. Sarebbero abbastanza disperati da affidarsi a una sinistra che fosse tale, che proponesse, credibilmente, soluzioni altrettanto drastiche ma opposte, che fosse pronta a infilare le sue mani nel calderone rovente a rischio di scottarsi? A parte Minniti o la Boschi, cosa avete da perdere nel provarci?
mercoledì 19 aprile 2017
La pillola rossa
Questo me lo hanno strappato dalle mani. Stavo leggendo l'ennesimo articolo sulle diseguaglianze e mi sono arenato sull'ennesima ripetizione della frase “ che hanno portato alla nascita dei populismi”. Ecco, signori, no. Non è questo che ha portato alla nascita dei populismi, qualunque cosa questa parola esprima a seconda delle diverse situazioni. Non sono le ineguaglianze. E' la scomparsa delle alternative non populiste per, non dico risolverle, ma affrontarle. Il populismo non è solo una reazione “antiscientifica” come, ad esempio, la mania anti vaccini che ci circonda. Non è solo un ritorno a credenze magico irrazionali, come l'affidarsi a un dio di fronte al fallimento inevitabile di una soluzione scientifica ad un problema di salute. E' anche il ricorso ad una medicina sapienziale, alternativa, prechimica, quando ti viene impedito l'accesso alle normali medicine che in parte funzionavano (anche se poi, alla fine, si muore comunque). Per quasi mezzo secolo si è lavorato, quasi esclusivamente, ad eliminare queste medicine, a stroncare ogni esperimento, a cancellare ogni prescrizione del farmaco anche in piccole dosi, partendo dall'assunto che se prendi 20 grammi di aspirina muori e quindi se ne prendi uno muori uguale. Gli esperimenti sono stati fatti finire coi carri armati dove si poteva(in Cile) con i mezzi della finanza dove non si poteva (nella Francia di Mitterand) con la moltiplicazione della minaccia nucleare quando serviva (nell'Urss di Gorbaciov) con lo snaturamento e la mutazione genetica di partiti e sindacati (ovunque). Tutto e sempre per cancellare chiunque e qualunque cosa volesse mettere in discussione i concetti di profitto e proprietà dei mezzi di produzione e parlare di redistribuzione e stato imprenditore. Può essere che fosse giusto così. Può essere, anzi è stato dimostrato, che la medicina nelle dosi prescritte dai sacri testi fosse talmente tossica e con tanti effetti collaterali negativi da far preferire la malattia. Ma ecco, sia chiaro, l'acqua che è stata buttata con il bambino dentro non era la malattia, era “una” cura. La malattia, di cui l'ineguaglianza è solo un sintomo, gli altri sono lo svuotamento della democrazia e la crisi climatica, è stata lasciata libera di espandersi. Dopodichè che i malati si affidino agli stregoni, a quelli che predicano l'odio per il diverso da Parigi a Istanbul, da Washington a Tora Bora, che si affidino a risposte così bizzarre e maleducate, signora mia, è solo una conseguenza. Ci rimpiangerete.
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