martedì 6 marzo 2018
La sera prima delle urne
Vedo un gran chiedersi, ma come ci siamo arrivati? Come è mai possibile che nel 2018 ci ritroviamo con il rischio concreto di essere governati da un condannato e da un pugno di seconde linee della xenofobia? Urge quindi un piccolo “riassunto delle puntate precedenti”.
Ve lo ricordate quando siete scesi quella notte nelle strade di Roma, con le orchestrine e le bande, intasando via del Plebiscito e facendo pernacchie alla sua uscita dal Quirinale? Ecco, tutto nasce lì, in quella notte in cui si decise che voi non eravate pronti, non eravate affidabili. Non potevate votare. Perché c’era lo spread e bisognava “fare presto”, come disse il Sole 24ore, incamminandosi verso la sua crisi senza ritorno. Sarebbe bastato, in quei giorni che Draghi dicesse “whatever it takes”. Sarebbe bastato che il vegliardo del Quirinale avesse detto: l’Italia è una grande Paese, fondatore dell’Europa e terrà regolarmente le sue elezioni. Ma Draghi era lì, ce lo aveva detto per lettera insieme a Trichet, per demolire il nostro Stato sociale e le nostre garanzie sindacali.
E il Presidente Emerito, fin dai carri armati a Budapest, aveva dimostrato una scarsissima fiducia nell’autodeterminazione dei popoli. Non votaste. Avemmo Monti e Fornero. La macelleria sociale messicana ci trascinò dal 100% al 133% di debito pubblico, dimostrando che la competenza dei politici può essere pari a quella di medici come Brega Massone. Votarono, loro, senza un plissé quel pareggio di bilancio in Costituzione, i soli in Europa a inserirlo in quel modo, senza darvi, ovviamente la possibilità di esprimervi in un referendum. Non si poteva disturbare il manovratore della mannaia dei tagli.
Pensate, in quel tardo 2011, nei primi mesi del 2012, i 5stelle erano poco più che un neonato, quasi ininfluenti sul piano nazionale. Ma l’ossessione per lo scalpo di ciò che restava del nostro welfare, la delirante litania del “ce lo chiede l’Europa“, in pochi mesi, li trasformò nella prima forza politica del Paese, almeno nel voto nei nostri confini. Dopo le politiche ci sarebbe voluto poco. Ci toccava superare la giustificata antipatia per Crimi e Lombardi, per guardare a chi li aveva eletti, e perché.
Bastava metterli alla prova, quella prova che essi chiedevano a gran voce. Eleggete Rodotà e si apriranno praterie. Con un web che ancora veniva davvero consultato, politiche davvero di sinistra avrebbero trovato strada spianata, ricordate quando la base ribaltò le idee di Grillo e Casaleggio sul tema rovente dell’immigrazione. E invece no. Meglio riammucchiarsi con Bonino, il duo di Letta e Alfano, lo sconfitto Berlusconi, ancora incredibilmente incensurato, il Magnifico Formigoni, Sandro Bondi, le nipoti di Mubarak e le igieniste dentali.
E poi, una volta finalmente inserito nel casellario giudiziario, decidere che B., con sondaggi attorno al 10%, fosse, orribile a udirsi dal rottamatore del leader Massimo, l’Uomo della Costituente, come già nel ’96. E intanto, continuare la strada di Monti, senza il suo lugubre aplomb, ma tra gradassate e smargiassate. Una rana enfia di dati immaginari. Con un Paese sempre penultimo in tutte le classifiche di crescita, raccontare di un nuovo Rinascimento. E poi esplodere il 4 dicembre e far finta di nulla. Mezzo passo indietro e avanti Boschi e Lotti. E sempre, tutti, in quella compagnia di giro a tirar fuori la battuta che fa venir giù il teatro. Il nemico sono i populisti delle scie chimiche. Ripensateci: il 4 marzo non ci sarà nulla di cui sorprendersi.
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